Il pm antimafia ha parlato alla commemorazione della strage del 19 luglio 1992 in via D'Amelio: "Non si può ricordare Paolo Borsellino e assistere ai tanti tentativi in atto, dalla riforma dell’ordinamento giudiziario, a quella in cantiere sulla responsabilità civile dei giudici, alla gerarchizzazione delle Procure anche attraverso sempre più numerose e discutibili prese di posizione del Csm". Che è presieduto dal capo dello Stato, Giorgio Napolitano. Il magistrato punta il dito anche contro il premier Renzi e la scelta di fare le riforme con Berlusconi, "definitivamente condannato per gravi reati"
“Non si può assistere in silenzio al preminente tentativo di trasformare il magistrato inquirente in un semplice burocrate inesorabilmente sottoposto all’arbitrio del proprio capo, di quei dirigenti degli uffici sempre più spesso, purtroppo, nominati da un Csm che rischia di essere schiacciato e condizionato nelle sue scelte di autogoverno dalle pretese correntizie e politiche e dalle indicazioni sempre più strigenti del suo presidente”. Che è il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Lo ha detto il pm antimafia Antonino Di Matteo intervenendo in via D’Amelio alla commemorazione della strage in cui il 19 luglio 1992 perse la vita Paolo Borsellino.
E’ una presa di posizione netta, quella del magistrato impegnato in prima linea sulla trattativa Stato-mafia: “Non si può ricordare Paolo Borsellino e assistere ai tanti tentativi in atto, dalla riforma dell’ordinamento giudiziario, a quella in cantiere sulla responsabilità civile dei giudici, alla gerarchizzazione delle Procure anche attraverso sempre più numerose e discutibili prese di posizione del Csm – ha detto ancora il pubblico ministero – non si può ricordare Paolo Borsellino e assistere in silenzio a questi tentativi finalizzati a ridurre l’indipendenza dei magistrati a vuota enunciazione formale con lo scopo di annullare l’autonomia del singolo pm”.
“Voglio ringraziare tutti quei cittadini che si pongono a scudo di tanti che, anche nella politica, continuano a calpestare quei valori che furono di Paolo Borsellino, contro l’arroganza dei prepotenti e degli impuniti“, ha detto ancora Di Matteo. “Le commemorazioni – dice – hanno un senso solo se sostenute dal coraggio che dovremo dimostrare da domani”. E sulla strage Borsellino Di Matteo rilancia: “C’è il dovere etico e morale di cercare verità, anche se ci rendiamo conto che quel cammino costi sempre di più lacrime e sangue, per continuare a cercare la verità è necessario innanzitutto con onestà intellettuale rispettare la verità e non avere mai paura a declamarla anche se può apparire sconveniente”. Di Matteo ha parlato anche di un “muro di gomma e di indifferenza istituzionale”, e del “pericolo di un clima di delegittimazione che si nutre di silenzi colpevoli, ostacoli e tranelli disposti per arginare quell’ansia di verità rimasta patrimonio di pochi”.
“Affermano il falso i tanti che, qualcuno per strumentale interesse, continuano a ripetere che i processi delle stragi hanno portato a un nulla di fatto – attacca ancora il pm – fingono di ignorare che 22 persone sono state definitivamente condannate per concorso in strage. In molti anche all’interno delle istituzioni sanno ma continuano a preferire il silenzio, certi che quell’omertà continuerà a pagare magari con l’evoluzione di splendide carriere. Il cammino di liberazione dalla mafia è rimasto a metà del guado, mentre ai ladri e ai corrotti si assicura la sostanziale impunità”.
Il magistrato punta il dito anche contro il premier Matteo Renzi e la sua decisione di fare le riforme con Silvio Berlusconi: “In una sentenza definitiva della Corte di Cassazione è accertato che un partito politico, divenuto forza di governo nel 1994, ha poco prima annoverato tra i suoi ideatori e fondatori un soggetto da molto tempo colluso con gli esponenti di vertice di Cosa nostra e che da molti anni fungeva da intermediario consapevole dei loro rapporti con l’imprenditore milanese che di quel partito divenne esponente apicale. Oggi questo esponente politico (Silvio Berlusconi, ndr), dopo essere stato definitivamente condannato per altri gravi reati, discute con il Presidente del Consiglio in carica di riformare la legge elettorale e quella Costituzione alla quale Paolo Borsellino aveva giurato quella fedeltà che ha osservato fino all’ultimo respiro”. “E’ necessario non perdere la capacità di indignarsi e trovare la forza di reagire – ha detto ancora Di Matteo – tutti abbiamo il dovere di evitare che anche da morto Paolo Borsellino debba subire l’onta di vedere calpestato il suo sogno di giustizia”.
Giorgio Napolitano aveva inviato un messaggio a Manfredi Borsellino, figlio del giudice, in occasione dell’anniversario: “E’ indispensabile non dimenticare che un’azione di contrasto sempre più intensa alla criminalità organizzata trae linfa vitale dallo sforzo di tutti nell’opporsi al compromesso, all’acquiescenza e all’indifferenza”, scrive il Presidente della Repubblica. “Come ho ricordato in occasione dell’anniversario della strage di Capaci (in cui il 23 maggio 1992 persero la vita Giovanni Falcone, la moglie, Francesca Morvillo, e tre agenti della scorta, ndr) alla speranza di una generale evoluzione nei comportamenti individuali e collettivi che conduca alla sconfitta della mafia – spiega Napolitano – deve accompagnarsi l’auspicio che i processi ancora in corso possano fare piena luce su quei tragici eventi, rispondendo così all’anelito di verità e giustizia che viene da chi è stato colpito nei suoi affetti più cari e che si estende all’intero Paese”.
Non tardano ad arrivare le reazioni del mondo politico. “Se Di Matteo sa parli, oppure continui ad indagare. O fa i nomi o continua silente le indagini. Cui prodest far sapere che anche lui sa e non parla?”, domanda Stefania Prestigiacomo, di Forza Italia. “Questa di Di Matteo sembra più una sortita politica che non quella di un magistrato inquirente che dovrebbe parlare non con i comizi ma con le prove acquisite attraverso le indagini”, ha detto Fabrizio Cicchitto, del Nuovo centrodestra, presidente della commissione Esteri della Camera. “Ieri abbiamo avuto l’esempio della parte migliore e maggioritaria della magistratura (con l’assoluzione di Silvio Berlusconi nel processo Ruby, ndr). Oggi a Palermo un pubblico ministero, salendo su un palco, ha dato l’esempio della parte peggiore della magistratura, che approfitta di ogni occasione per svolgere un ruolo politico e per usare la toga in battaglie che non dovrebbero appartenergli”, attacca Luca D’Alessandro, di Forza Italia, segretario della commissione Giustizia della Camera.