Pianosa è un’isola dell’Arcipelago toscano, abitata oggi da meno di venti persone (di cui uno solo con residenza). E’ più famosa per aver recluso Sandro Pertini negli anni trenta che per la sua bellezza. Via mare dista meno di un’ora dall’Elba, ma quando ti ci trovi è distante da tutto e da sempre. Un tempo ospitava vita, lavoro, cittadini. Ora una cooperativa di volontari e detenuti in regime di semilibertà gestisce il bar ristorante, un piccolo albergo e poco altro. Il resto è case vuote, decrepite e pericolanti, agonia per il tempo.
L’Associazione per la difesa dell’isola di Pianosa, una Onlus di cittadini elbani, è tutto ciò che resta per rallentare la clessidra della storia che sbriciola i ricordi, ogni estate allestisce sull’isola una preziosa mostra fotografica con ingresso libero, i proventi raccolti con la vendita di qualche libro e altro sono utilizzati per recuperare un pezzo alla volta questo patrimonio di tutti. Contemporaneamente lo Stato le chiede l’affitto dei locali che occupa.
L’acqua è cristallina, i rintocchi del tempo sono scanditi dalla natura. Tutto è lontano, quantomeno è altrove e l’isolamento è come una vertigine per chi vive circondato dal cemento.
Faccio due passi fra le strade vuote, viuzze deserte, strisce pedonali per cittadini inesistenti. Incontro un fantasma che mi fa ripiombare nel presente, nel cemento, nella cronaca, nell’isolamento che va oltre: Pianosa fu carcere di massima sicurezza. Dal sito dell’Associazione per la difesa dell’isola di Pianosa:
“Negli anni ’80 si comincia a prospettare l’ipotesi di chiusura del carcere. In seguito all’emergenza dettata dagli attentati ai magistrati Falcone e Borsellino, il governo decide la immediata riapertura del carcere di massima sicurezza sull’isola, relegandovi i detenuti per reati di tipo mafioso. Questa nuova situazione trasforma Pianosa in una fortezza, inaccessibile a tutti, con la sezione Agrippa a sua volta separata dal resto dell’isola; Pianosa viene vigilata giorno e notte da Agenti di Custodia, Carabinieri, Polizia, vengono istituiti rigidissimi divieti di sorvolo e di navigazione nelle acque circostanti. L’emergenza si protrae fino al luglio 1997, quando l’ultimo detenuto per mafia viene trasferito dall’isola ad altre sedi di reclusione sul continente, e per il carcere di Pianosa si ricomincia a parlare di chiusura. Una chiusura quasi definitiva nell’agosto del 1998, non essendo rimaste sull’isola che poche forze dell’ordine con compiti di vigilanza e di guardia alle strutture.”
Il mare non piace ai mafiosi, l’isola è complicata, è difficile comunicare con i detenuti eccellenti, l’acqua salata si mangia ogni tentativo di comunicare dentro/fuori. Acqua in bocca. La mafia non digerisce, la mafia tratta, la mafia impone, il resto obbedisce. Eppure il fantasma mi racconta che nel ’97 viene terminata la ristrutturazione della caserma che avrebbe dovuto ospitare la Polizia di Stato, perfettamente funzionante e collaudata, mai utilizzata, miliardi inabissati: l’anno dopo il carcere di Pianosa chiude per sempre. La mafia non sa nuotare, preferisce un carcere più…accessibile.