Caro autore, il televisore s’è ribellato ai telecomandi e non vuole trattare un (tele) patto. Dice che soffre l’asfissia. Dice che non ci sono medicinali disponibili, anzi che di questi medicinali ne disponi soltanto tu. Dice che ha la sensazione di oppressione e di sfinimento che può provare un cittadino romano o straniero che viaggia sugli autobus di Roma con le sedute sporche e senza aria condizionata: perché a ogni trasmissione incontra decine di ospiti; politici ex giornalisti o giornalisti ex politici, sociologi che non scrivono libri e librai che fanno i sociologi. E politici che fanno i sociologi, che è ancora peggio.
Dice: non esistono vie di fuga, porte di emergenza, fermate di conforto. Ha rischiato le antenne correndo a ramengo di canale in canale, di stagione in stagione: nulla, sempre il solito dibattito con i soliti sondaggi per dibattere , un po’ di caciara, un po’ di fondotinta, avanspettacolo puro. Dice che s’è ammalato di “opinionismo”, che l’Italia sia ammalata di “opionionismo”. Il nostro televisore assiste al disfacimento di famiglie in preda a questa sindrome: prima di fare la spesa, i genitori chiedono un’opinione ai parenti. E se capita di consultare la suocera, è la fine.
Dice che non riesce più a contare le presenze televisive di Daniela Santanchè o di Alessandra Moretti, di Paolo Romani o di Debora Serracchiani. Dice di patire momenti di delirante confusione: a volte non distingue i partiti di opposizione e di maggioranza, la cosiddetta società civile di lotta e quella rivale, di governo. Non saprebbe indicare il passante e l’esperto, il preparato e l’improvvisato. Dice che si rischiano gesti di emulazione: anche a casa, se c’è spazio, i ragazzi possono schierare le poltrone in circolo, lanciare una rilevazione su Facebook (inutile per le statistiche, ndr) e invitare gli amici a discettare di Costituzione, di preferenze, listini bloccati e premi di maggioranza. E se fortunati, possono usufruire di un collegamento telefonico con Antonio Razzi o Maurizio Gasparri.
Caro autore, il nostro televisore è esausto. Non ci sono ore (o zone) di tregua. I primi sintomi di “opionionismo” s’avvertono già di mattina presto, quando i politici si presentano in studio con le cravatte malfatte o il trucco sbilenco. Il nostro televisore ha saputo che da settembre non andrà meglio: sono previsti vecchi e nuovi programmi che spacciano l’opionionismo per informazione, che domandano al giornalista da Transatlantico di pressione fiscale e all’economista bocconiano di ghigliottina parlamentare, al cantante pop in concerto di revisione del bilancio statale.
Caro autore, dispiace: ma il nostro televisore s’è spento. Dice che lo sciopero può durare qualche mese, poi riprenderà il segnale in primavera, a un’ora a caso di un giorno a caso. Dice che tanto sarà sempre lo stesso. E nessuno se ne sarà accorto.
Twitter: @Teccecarlo
il Fatto Quotidiano, 20 Luglio 2014