Oggi il Nobel per la pace dovrebbe andare all’equipaggio del peschereccio che ne ha soccorsi 47 dei 500 a bordo del barcone. Spesso nessuno si ferma a soccorrerli. In Spagna i clandestini vengono direttamente indirizzati verso il Senegal, gli Usa hanno innalzato un blocco verso i messicani che cercano di passare la frontiera, in Russia molti vietnamiti vengono arrestati ed espulsi. In Tunisia gli agenti impegnati al porto di Zarzis o a quello di Djerba, da dove partono numerosi sbarchi clandestini, guadagnano al mese soltanto 250 euro. Una paga misera che però viene incrementata dalla cospicua “mazzetta” dello scafista, un accordo subdolo segnato dalla dilagante corruzione e disperazione. E’ qui che si dovrebbe intervenire ancor prima che in acqua.
Chi non può permettersi di pagare il viaggio se è “fortunato” si ritrova a guidare l’imbarcazione con bussola e Gps. Spesso queste persone non sanno nulla di navigazione e così aumentano gli incidenti in mare. Oggi è possibile persino tracciare anche una discriminazione dei porti di attracco per gruppi di migranti. La regione Sicilia è interessata dai flussi migratori provenienti dal Nordafrica, dall’Africa subsahariana e, in misura minore, da quelli provenienti da alcuni Stati arabi e dal subcontinente indiano. Per i flussi dal Nordafrica, i clandestini vengono sbarcati nelle coste sudoccidentali, a Lampedusa e a Pantelleria. In questo tipo di traffico sono coinvolti anche pescatori tunisini che utilizzano i loro battelli per il trasporto dei clandestini. La costa delle province di Siracusa e Ragusa, invece, è maggiormente interessata dagli immigrati provenienti dai paesi arabi e dal subcontinente indiano, trasportati a bordo di scafi veloci, provenienti quasi sempre dai porti maltesi.
E’ pur vero che l’Italia non ha una coscienza marittima paragonabile a quella di altri stati che si affacciano sul Mediterraneo. La nostra è una identità marittima esigua, per certi versi nascosta nell’ombra e che non si traduce in una consistente percezione collettiva del nostro rapporto con il mare. Quando si è tentato di formare una coscienza marittima nazionale lo si è fatto in modo del tutto errato, ponendo al centro l’ideologia del mare nostrum. Ciò ha rappresentato non solo un errore di fatto, ma anche una visione nettamente contraria ai nostri interessi nazionali. Il mar Mediterraneo infatti, non solo non è nostro, ma deve restare un bene internazionalmente disponibile, perché indispensabile allo sviluppo di tutti i paesi che vi si affacciano compresa l’Italia. Bisogna garantire che il Mediterraneo continui ad essere una via di comunicazione economica e non un teatro di morti annegati come sta succedendo.