Dalla lussemburghese Bell al Mose, vent’anni di interessi in conflitto per l'ex ministro dell'economia vicino alla Lega. Il suo studio milanese, Vitale Romagnoli Piccardi&Associati, ha avuto un ruolo nelle operazioni più discusse degli ultimi anni
Esiste un “metodo Tremonti”? Uno stile della casa, un modo di regolare i rapporti di potere, da parte del tributarista-ministro più influente della Seconda Repubblica? Per rispondere, si devono ripercorre alcune vicende politico-economico-giudiziarie degli ultimi anni. Alcune delle tante in cui c’è stata la presenza, con pesi e ruoli diversi, di Giulio Tremonti, Giano Bifronte: politico, ma anche professionista, tributarista di successo. Come politico militava nelle schiere del Pdl, ma faceva pesare al governo (e nei confronti di Silvio Berlusconi) la forza della Lega, con cui ha sempre avuto un rapporto fortissimo. Come professionista, entra ed esce dal suo studio milanese –Vitali Romagnoli Piccardi&Associati, bella sede in via Crocefisso – a seconda se ha o meno un ruolo di governo. Lo studio Tremonti, però, resta aperto a Milano anche quando il suo fondatore è impegnato al ministero a Roma. E in quei periodi continua a fatturare come prima o forse più. La Guardia di Finanza e l’Agenzia delle entrate sono sempre presenti nelle sue storie. A volte fanno il “poliziotto cattivo” che vuole far valere la legge e far pagare tasse salate; altre volte sembrano il “poliziotto buono” che chiude un occhio e magari anche due. Dalle Fiamme gialle provengono molti degli uomini che formano il suo piccolo cerchio magico: Marco Milanese, che per anni è stato l’alter ego di Tremonti, l’uomo da chiamare quando si voleva coinvolgere Giulio; poi Dario Romagnoli, partner dello studio Tremonti nonché ex ufficiale della Guardia di finanza, compagno di corso di Milanese; infine Emilio Spaziante, splendida carriera nelle Fiamme gialle, di cui è diventato il comandante in seconda, prima di andare in congedo e poi finire arrestato per il Mose.
In quella storia veneziana Tremonti è evocato come ministro: per sboccare i soldi pubblici che servono ad alimentare l’infinito e vorace cantiere alle bocche di porto di Venezia, è necessario intervenire sul Cipe, il comitato interministeriale per la programmazione economica. E Giulio è l’uomo che del Cipe tiene i cordoni della borsa. Si fanno sotto il “re del Mose”, Giovanni Mazzacurati, e il finanziere Roberto Meneguzzo. Il tramite è Milanese. Parte un tangentone da 500 mila euro incassati, almeno secondo i pm, da Milanese e Spaziante. Ma per avere l’ok del “capo”, cioè Tremonti. Per sapere se è vero, dovremo aspettare gli esiti del processo. Sappiamo invece già quante consulenze ha ottenuto lo studio Tremonti. Per l’assistenza fiscale di Bell ha incassato 25 milioni di euro, secondo Gianpiero Fiorani, il banchiere della Popolare di Lodi (ma secondo Dario Romagnoli erano “solo” 5 milioni). Bell è la holding lussemburghese che nel 2001 vende il pacchetto di controllo di Telecom Italia a Marco Tronchetti Provera. I soci di Bell, italianissimi e capitanati da Emilio Gnutti, guadagnano dall’operazione 2 miliardi di euro esentasse. Nel 2003 inizia una lunga contesa: Bell è davvero lussemburghese o italiana ed “esterovestita”? Deve o no al fisco almeno 600 milioni di euro? Interviene la Guardia di Finanza, poi l’Agenzia delle entrate, infine la procura di Milano. Tremonti è ministro dell’Economia. Bell non paga, lo studio Tremonti incassa.
Nel 2005, mentre Fiorani con i “Furbetti del quartierino” scala (a destra) Antonveneta e Gianni Consorte assalta (a sinistra) Bnl, compare in scena un altro avvocato, Claudio Zulli, che già negli anni precedenti aveva assistito Bell insieme a Romagnoli. A Zulli, Consorte parla del (bipartisan) ministro Tremonti: “Devo ringraziarlo di due o tre cosette e gli devo spiegare un po’ di roba perché mi deve dare una mano su cose importanti”. Zulli rispunta oggi, ancora una volta insieme a Romagnoli , nell’indagine romana sull’allargamento del porto di Ostia e in quella milanese sulla fusione Unipol-Fonsai. I magistrati antimafia di Roma intercettano una telefonata del 12 dicembre 2012 in cui Romagnoli parla con Tremonti di una riunione avvenuta il giorno prima a Bologna, nella sede di Unipol: presenti l’amministratore delegato Carlo Cimbri, il generale Spaziante, l’avvocato Romagnoli e un uomo “con l’accento del nord”, il bresciano Zulli. All’incontro si parla dell’affare del porto di Ostia e dell’altra grande operazione in corso, cioè la conquista di Fonsai da parte di Unipol. Tremonti si dice disposto a intervenire. Romagnoli, consulente di Unipol, incassa le sue parcelle. Lo studio Tremonti incassa anche, tra il 2008 e il 2009, 2,4 milioni di euro per una consulenza sulle problematiche fiscali dell’acquisizione di una azienda Usa di armamenti, la Drs, da parte di un’azienda pubblica italiana, Finmeccanica. Tremonti, ministro e “controllore” di Finmeccanica, era contrario all’acquisizione, racconta al pm Paolo Ielo il consulente Lorenzo Cola, ma poi si ricrede. Ora il pm milanese Roberto Pellicano sta compulsando le carte per valutare se quel cambio di rotta dopo la consulenza ottenuta dallo studio Vitali Romagnoli eccetera possa essere considerato un reato da tribunale dei ministri.
L’operazione Brontos è invece da manuale. Permette a Unicredit di risparmiare 245 milioni di tasse, tra il 2007 e il 2009, con operazioni realizzate in Lussemburgo. Lo studio Tremonti interviene due volte. La prima (30 marzo 2007) argomenta che è tutto correttissimo: “L’operazione non pare connotata da elementi tali da determinare un ‘aggiramento’ di obblighi o divieti posti dalla normativa tributaria, per mezzo di stratagemmi o artifici strumentali”. Poi nella sede milanese di Unicredit arriva la Finanza mandata dalla procura di Milano. Allora lo studio Tremonti cambia musica e sostiene (10 settembre 2010) che è meglio pagare: “La vostra società, procedendo alla redazione della dichiarazione in linea con l’impostazione del Fisco, eviterebbe sanzioni tra il 100 e il 200 per cento, la contrapposizione forte con l’amministrazione finanziaria, il danno della possibile reiterazione di un’azione penale e il danno reputazionale”. Per questo bel servizio, lo studio Tremonti incamera oltre 3 milioni di euro.
Storia-fotocopia nella Bpm di Massimo Ponzellini: anche la Popolare di Milano fa operazioni all’estero da cui ottiene benefici fiscali per centinaia di milioni; anche in questo caso utilizza il parere positivo dello studio Tremonti. Per un po’ va bene, poi arriva il “poliziotto cattivo”, l’Agenzia delle entrate, sotto il ministro Tremonti, a dire che invece le imposte vanno pagate. Bpm tratta e se la cava versando 200 milioni. Oltre alla parcella dello studio Tremonti, naturalmente.
Da Il Fatto Quotidiano del 16 luglio 2014