Nel sistema nazionale dove la regolazione pubblica delle vecchia rete autostradale vede il Ministero delle infrastrutture nel ruolo più di spettatore che di programmatore e concedente di concessioni autostradali, anche la nuova rete in costruzione ne subisce un’influenza negativa. Contribuisce la frammentazione di 23 società che gestiscono in concessione i 7 mila km di rete autostradale, sia pubbliche che private, a rendere disorganico il quadro per la viabilità e gli utenti. Le concessionarie hanno una forte influenza politica (appalti, progettazioni, assunzioni), pagano canoni risibili allo Stato e si sono garantite, con i diversi governi che si sono succeduti, tutti disattenti, un automatismo tariffario con pedaggi salasso che generano extra-profitti.
Ciò grazie alla promessa di un maxi piano (sulla carta) di potenziamento della rete autostradale esistente che assicura rendite di posizione monopoliste con rinnovi delle concessioni automatici che evitano le gare suggerite dall’Europa. E’ in questo contesto che vanno valutati i sette grandi project-financing autostradali affidati negli anni passati e messi in “legge obiettivo”. Essi prevedevano investimenti complessivi per 15,3 mld e per i progetti più complessi lo Stato aveva stanziato un allettante pacchetto di risorse: oltre due miliardi di euro.
Ora, dopo tanti avvertimenti di esperti ed ambientalisti, questi progetti sono in grave difficoltà finanziaria. Si tratta della Pedemontana Veneta e Lombarda, della Tem milanese, dell’Asti Cuneo, della Tirrenica Nord della Cispadana e della Brebemi. Tutti questi progetti scontano non solo la grave crisi economica che si è abbattuta sul Paese ma anche l’inasprimento delle condizioni finanziarie poste dalle banche che non si sono più rese disponibili per prestiti a lungo termine se non con quote di equity, e quindi di rischio, degli azionisti che non hanno mai sottoscritto. Nel corso della progettazione e della realizzazione delle opere le banche sono diventate azioniste di controllo come nel caso di Tem e di Brebemi e i closing finanziari sono avvenuti durante il corso delle opere grazie ai prestiti di istituti pubblici come la Bei e Cassa Depositi prestiti.
Ma in questi anni i nodi della “grandeur autostradale privata” sono venuti al pettine facendo saltare i piani economico-finanziari. Ecco perché ora queste 7 concessionarie hanno richiesto complessivamente 2,9 miliardi di aiuti pubblici; o attraverso la defiscalizzazione o attraverso stanziamenti a fondo perduto e con l’allungamento della durata della concessione. Le previsioni di traffico erano state sovrastimate e i costi di realizzazione sottostimati per giustificare le tratte da realizzare. Le difficoltà a raccimolare le risorse per avviare i cantieri e la modifica dei progetti chiesta dagli enti locali e dalle valutazioni ambientali hanno allungato i tempi di anni.
Ciò ha incrementato il peso degli interessi sul costo dell’opera. Per esempio per Brebemi, i costi sono triplicati passando da 800 milioni a 2,4 mld di cui ben 800milioni di soli interessi ed oneri finanziari. All’atto dell’apertura della direttissima Brescia Milano, parallela alla A4 Milano Brescia, si è scoperto che le tariffe saranno doppie rispetto a quelle già salate di autostrade per l’Italia. Tra abbassare le tariffe per aumentare i volumi di traffico o tenerle alte Brebemi ha scelto la seconda opzione. E cosi anche l’utilità sociale, oltre a quella trasportistica, vengono meno. Con un traffico previsto di 20mila veicoli giornalieri, contro gli 80mila stimati, il Project -financing non poteva che essere “aggiustato” spostando sulla spesa pubblica i maggiori costi e le minori entrate.
Puntuale è arrivata la richiesta al Cipe di Brebemi di defiscalizzazione per 497 milioni di euro e di allungamento della durata della concessione di 10 anni, cioè da 20 a 30 anni. Così verrebbe modificato il Project Financing e stravolta le condizioni della gara fatta nel 2007, la stazione appaltante perderebbe ulteriormente di credibilità e ciò spiega il motivo per cui in questi 7 Project -financing che ora chiedono 2,9 miliardi non c’è un euro di una banca straniera. Appalti, cemento, progettazioni di opere nate con questi presupposti daranno benefici scarsi, una sicura ferita all’ambiente e tanto consumo di suolo ma però faranno tanto consenso. Adesso questa politica, se non la corregge Renzi, dovranno pagarla gli italiani. E’ cosi che i Project financing fatti per non gravare sullo Stato finiscono per essere modificati dagli stessi promotori delle opere e subiti (con entusiasmo) dai committenti pubblici Ministero delle Infrastrutture, Anas e Regioni.