Michael Rogers ha una faccia da ciclista d’una volta, scavata e più vecchia dei suoi 35 anni. La sedicesima tappa da Carcassonne a Bagnères-de-Luchon è ormai finita: 237 chilometri e mezzo. Sono cinquantadue volte che il Tour parte o arriva in questo centro termale dei Pirenei. La prima fu nel 1910, all’epoca dei pionieri di un ciclismo dove polvere, sudore e sangue non erano esagerazioni letterarie. Celebre l’invettiva di Octave Lapize che fu costretto a scendere dalla bici e proseguire a piedi, lungo una strada che era poco più di un sentiero per capre: “Siete degli assassini!”, gridò in faccia agli organizzatori. Aveva 23 anni. Vinse quel Tour. Poi perse la vita nella Grande Guerra. A Rogers gli manca ancora quel mezzo chilometro, prima di vincere. Si volta per controllare se i tre inseguitori sono in grado di raggiungerlo e beffarlo, come è successo l’altro giorno al povero neozelandes Jack Bauer. No, sono sufficientemente lontani. Il che lo riempie di gioia infinita.

Il volto è trasfigurato da un’emozione che non sai mai come domare, anche se sei stato tre volte campione del mondo a cronometro, anche se hai già vinto due tappe del Giro d’Italia di quest’anno, a Savona, con una discesa da brividi. In cima allo Zoncolan, la salita totem della corsa rosa, su pendenze che ti asfissiano. Gli viene fuori tutto quello che ha ancora dentro. Urla. Sorride. Poi solleva le mani dal manubrio. L’idea che gli viene in mente è commovente. Corona degnamente quel che è ha combinato negli ultimi quattro convulsi, spettacolari, divertenti chilometri. Ha sorpreso i due francesi della Europcar, Thomas Voeckler e Cyrille Gauthier che volevano far gioco di squadra e intrappolarlo. Gauthier era scattato, Voeckler aveva rallentato. Ma lui non ci era cascato, anzi, dopo aver raggiunto Gauthier era ripartito in contropiede. Aveva bisticciato con Voeckler, perché voleva fare il furbo. Il francese dava invece la colpa a Serpa Perez.

Chiaro che era una balla. Rogers aveva lasciato passar primo sotto lo striscione del Gran Premio della Montagna di Port de Balès il colombiano, un prestigioso “fuori categoria” che frutta tanti punti e un buon premio. Do ut des: un poco di riconoscenza gliela doveva, il buon Serpa… Ed ecco che Rogers improvvisa un elegante inchino, ritto sulla bici, il braccio sinistro piegato sotto il petto, il destro che si allunga come quello di Tiramolla. Come un artista di varietà, senza la marsina ma con la maglia della Tinkoff-Saxo (seconda vittoria per gli uomini orfani di Contador), saluta il folto pubblico di Bagnères-de-Luchon, la regina dei Pirenei: “Volevo ringraziare tutti: i tifosi, gli amici, la squadra. Dedico questa vittoria ad Alberto Contador”. Nella decima drammatica tappa in cui El Pistolero cade e si frattura la tibia, Rogers e tre suoi compagni di squadra si fermano per aiutare il loro capitano a riprendere il gruppo. Pedalano assieme per una ventina di chilometri. Ma Contador non ce la fa più: “Continuate, ragazzi, io mi fermo qui”.

Allora, per consolarlo, Rogers gli poggia la mano sulla spalla. Vince, dunque, Rogers che appena passa la striscia bianca dell’arrivo, scoppia in un pianto liberatorio, il ciclismo è passione, cuore, ricordi. Memoria: nella discesa dal Portet-d’Aspet i corridori sono passati davanti alla stele che rammenta dove Fabio Casartelli, il 18 luglio del 1995, perse la vita.. Intanto, l’altra corsa, quella dei migliori, diventa un assalto alla baionetta. Con morti e feriti. La corsa scoppia. La salita fulmina il giovane americano Tejay Van Garderen. Ma anche la maglia bianca Romain Bardet che è il terzo della graduatoria assoluta. E poi, escono di scena in parecchi: il belga Jurgen Van den Broeck, Pierre Rolland; sono in affanno gli olandesi Bauke Mollema e Laurens Van Dem. Questa primo tappone pirenaico sta facendo da setaccio per le prossime due, i veri spauracchi del Tour.

E’ pure la tappa più lunga della Grande Boucle. In grande spolvero, invece, sono Jean-Christophe Péraud e soprattutto Thibaut Pinot, che è staccato di appena sedici secondi dal podio e dalla maglia bianca di Bardet. Nibali? Vigila. Ma perde i compagni di squadra. Resta solo quando mancano ventiquattro chilometri all’arrivo. Mentre Alejandro Valverde ne ha ancora uno. Infatti scattano i francesi, va dietro Valverde e Nibali li marca al volo. Ma Pinot è scatenato. C’è Bardet alla deriva. Sente che è la sua grande giornata. Unica incognita, in discesa ha un po’ di paura. A duecento metri dal gran premio della montagna, Pinot accelera, Nibali resta sui pedali. Primo segnale di stanchezza? O ha voluto evitare uno sforzo inutile? In discesa, Nibali dimostra che forse è giusta la seconda ipotesi. Chi in salita ha perso terreno, semmai, è stato Valverde. Certo, la discesa gli permette di riagganciare Nibali e Pinot. Dunque, oggi hanno vinto in due: Rogers e Pinot, che detronizza al terzo posto Bardet (sceso al quinto).

I francesi hanno tre nei primi cinque della classifica. Pinot, il più in forma, busca però cinque minuti e 6 secondi dal messinese. Il quale domani avrà a che fare con due grandi problemi. Il primo: la tappa da Saint-Gaudens a Saint-Lary Pla d’Adet è breve, appena 124 chilometri e mezzo. Ma negli ultimi sessanta ci sono quattro salite, l’ultima, quella che porta al traguardo, lunga 10,2 chilometri all‘8,3 per cento di media. Una tappa esplosiva. Pinot è arrembante. E’ lui il vero pericolo. Secondo problema: la squadra. In salita, i compagni di Vincenzo scivolano indietro. Michele Scarponi non sta bene. Jakob Fuglsang è “spellato come un gatto”, come dice lo stesso Nibali. Tanel Kangert non è adatto a quelle difficoltà. In salita, sinora Nibali ha mostrato d’essere il migliore. Ma è costretto a spendere più energie di quel che dovrebbe, nella sua situazione: “Quella che ci ha portato a Luchon è stata una bella giornatina…”, ha ammesso Nibali, che maschera la fatica con grande nonchalance.

Psicologicamente ha già vinto il Tour 2014. I suiveurs francesi sognano una grande alleanza dei loro giovani “poulains” per abbattere Valverde e tentare di mettere in difficoltà Nibali. La maglia gialla è sempre più solo contro tutti. A Parigi mancano 670 chilometri. Manca pure il campione del mondo Rui Costa. Il portoghese è stato sconfitto da un focolaio di polmonite. Resiste tenacemente in fondo alla classifica il cinese Ji Cheng. Sta a 4 ore 31’32” da Vincenzo. Lo precedono, in questa classifica alla rovescia, due italiani: Davide Cimolai e Elia Viviani. Penultimo e terzultimo. Il podio dei peggiori. Pochi lo sanno, ma gli ultimi sono spesso coloro che fanno più fatica di tutti.

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