A esser colpiti sono prevalentemente giovani maschi che fanno gli operai. E in Cina, a differenza che in Giappone, non sono previsti risarcimenti
Cresce il numero dei giovani lavoratori cinesi morti misteriosamente nel sonno. La polizia di Dongguan, città fabbrica della Cina meridionale, ha registrato 893 casi da gennaio 2001 a ottobre dello scorso anno. Si tratta di più del triplo dei 231 casi registrati dal gennaio 1990 al dicembre 1999. La sindrome è per lo più studiata nei paesi del Sudest asiatico, tra cui Thailandia, Vietnam e Filippine. Si chiama Sunds, acronimo che sta per Sudden unexpected death syndrome, ed è stata notata per la prima volta nel 1977 tra i Hmong che si erano rifugiati negli Stati Uniti. Altri studi sono stati portati avanti a Singapore sugli immigrati thailandesi (230 giovani in buona salute morti misteriosamente nel sonno tra il 1982 e il 1990) e nelle Filippine, dove il bangungot – così chiamano localmente la Sund – colpisce ogni anno 43 persone ogni 100mila.
Le vittime sono prevalentemente giovani maschi che fanno gli operai. In Cina l’aumento esponenziale dell’ultimo decennio è stato denunciato solo dopo che i ricercatori della Scuola di Medicina Zhongshan della vicina metropoli di Guangzhou (Canton) hanno pubblicato una ricerca sulla base dei verbali degli ultimi vent’anni della città di Dongguan. Le autopsie rivelano l’assenza di malattie o lesioni potenzialmente mortali. Spesso si trova traccia di una brusca interruzione della respirazione, ma la causa rimane poco chiara. Sul Quotidiano di Guangzhou si legge che lo studio dei ricercatori ha avuto origine quando si è cominciato a constatare che la Sunds colpiva prevalentemente i lavoratori migranti. Un trend che si riscontra anche negli altri paesi del sud est asiatico: le vittime sono principalmente giovani operai di sesso maschile.
A Dongguan, nello specifico, il 90 per cento delle vittime erano operai. L’analisi ha rilevato che i maschi di età compresa tra i 20 e i 40 anni, in genere capofamiglia sotto forte pressione, sono più esposti al rischio: oltre l’80 per cento delle 328 persone morte tra il 2001 e il 2006 rientra in questa fascia di età. E più di nove vittime su dieci erano di sesso maschile. Secondo i gruppi che si occupano dei diritti dei lavoratori, i primi a preoccuparsi di queste “morti improvvise”, le lunghe ore di lavoro, la scarsa igiene e la ventilazione insufficiente degli spazi abitativi e di lavoro potrebbe esporre i lavoratori a un rischio più alto. Zeng Feiyang, direttore del Guangdong Panyu Migrant Worker Center di Guangzhou, è convinto che la causa sia proprio lo stress da lavoro. E in un’intervista al quotidiano di Hong Kong South China Morning Post, si è detto preoccupato perché “è particolarmente difficile aiutare le vittime a ottenere un risarcimento. Il lavoro eccessivo non è riconosciuto dalla legge cinese e i proprietari delle fabbriche possono facilmente evadere l’accusa argomentando che i colleghi delle vittime hanno lavorato lo stesso numero di ore eppure sono ancora in salute”.
Più in generale la Cina, assieme al secondo posto nell’economia globale, ha strappato al Giappone il primato di morti per stress da lavoro. Le statistiche parlano di 600mila morti all’anno. Le chiamano guolaosi, morte per straordinari, e colpisce prevalentemente colletti bianchi che lavorano nelle grandi città. Si scrive con gli stessi caratteri usati nella parola giapponese karoshi. E’ stato infatti il Giappone a scoprire il fenomeno, studiarlo e, nel 1987, riconoscerlo in una diversa categoria di morte da lavoro. Nell’aprile del 2008 sempre il Sol Levante arrivò a una sentenza storica: un’azienda fu legalmente costretta a compensare un suo lavoratore caduto in coma per eccesso di lavoro con 200 milioni di yen. Un precedente che in Cina si continua a ignorare.
di Cecilia Attanasio Ghezzi