Ospite della 44esima edizione la star ha incontrato i giovani giurati del festival. Recentemente l'attore ha interpretato il film Time Out of Mind, un dramma firmato dallo sceneggiatore e regista Oren Moverman che aprirà il Toronto Film Festival e probabilmente anche il festival di Roma. La sceneggiatura risale a 25 anni fa
“Non mi fido dei politici che stimolano azione e reazione con la violenza”. Parola di Richard Gere, super ospite della 44esima edizione del Giffoni Film Festival. In perfetta forma e accompagnato dal figlio quattordicenne Homer, la star del cinema internazionale, ha incontrato i giovani giurati del festival.
“Sono molto felice di essere qui in Italia, ogni occasione per venire qui la colgo al volo. Soprattutto per un festival come questo che mette in relazione i ragazzi di tutto il mondo, poiché queste relazioni avranno un impatto incredibile sull’intero pianeta” ha affermato in apertura, dopo aver stretto la mano alla prima fila di giornalisti in sala. Carismatico e sereno, ha cominciato a parlare della sua idea di un mondo diverso, in cui non ci deve essere spazio per la violenza e ogni persona dovrebbe trovare il mondo di tenere sotto controllo la propria aggressività. La Cittadella del Cinema di Giffoni Valle Piana, in provincia di Salerno, è rimasta stregata dai suoi racconti di esperienza personale con il Dalai Lama e il maestro zen giapponese: “Mi ricordo molti anni fa l’insegnamento di un maestro giapponese zen che mi diceva di non prendere decisioni fino a quando non riesci ad abbassare il numero di respiri a sette. Con questo esercizio intendeva dimostrare che l’essere umano tende a reagire in maniera impulsiva alle cose e la prima reazione legata al momento è solo di superficie e non va profondamente nella coscienza. Non bisogna reagire subito e rimanere a livello della mente, ma bisogna andare più nel profondo fino ad acquisire una razionalità maggiore e realizzare che siamo un tutt’uno, e la violenza non ha senso. La connessione con gli altri ci porta a non essere aggressivi”.
Ha dichiarato spesso la natura delle sue abitudini alimentari, e del suo stile di vita in linea con la religione del buddismo che ha scelto di osservare diversi anni fa. “Non sono vegetariano, mangio pollo e pesce, ma non mangio carne rossa. Forse arriverò a non mangiare del tutto alimenti di derivazione animale un giorno. Non è solo una questione di religione, siamo tutti collegati su questo pianeta e abbiamo la responsabilità di mantenerlo più integro possibile. Avevo un amico che stava per avere un figlio e ha chiesto al Dalai Lama consigli per come insegnargli i valori giusti. Egli rispose che doveva solamente spiegare che un insetto ha una vita, delle necessità, e cerca ogni giorno di guadagnarsi da vivere. Se riesci ad insegnarli questo allora gli avrai insegnato tutto”.
Sono passati oltre trent’anni dal sensuale American Gigolò e Richard Gere vanta una carriera diversa e ricca di ruoli che lo hanno formato come attore e come artista del grande schermo. “Fare film è un lavoro meraviglioso, ma è pur sempre un lavoro. Quando sono in Europa, pensano tutti a Hollywood come un mostro vorace. Ma è solo un posto dove si fanno i film, noi dobbiamo venire a patti sempre con i nostri demoni personali e questo non c’entra con Hollywood”.
Recentemente ha interpretato il film Time Out of Mind, un dramma firmato dallo sceneggiatore e regista Oren Moverman, che racconta la storia di un newyorchese in difficoltà economiche, che si ritrova costretto a vivere in un ricovero per senza tetto. Sulla scia di La Ricerca della Felicità di Gabriele Muccino, con Will Smith come protagonista, questo film racconta la difficile esistenza di quest’uomo, tra le difficoltà burocratiche della sua condizione, e il suo percorso personale. “Il film aprirà il Toronto Film Festival e probabilmente anche il festival di Roma. La sceneggiatura originale risale a 25 anni fa. Ho pensato a come rappresentare in maniera fedele questo mondo. Ho avuto contatti con associazioni che si occupano di queste persone. Credo che New York sia l’unica città al mondo, dove per legge questa gente deve avere obbligatoriamente un letto. In questo film abbiamo voluto rappresentare il processo personale di trasformazione in un homeless e la burocrazia che ne consegue”.