Qualche giorno fa, ad Erice, provincia di Trapani, partecipando al convegno FlyForPeace, ho conosciuto Ashraf Al-Ajrami, palestinese ex Minister of Prisoners’ Affairs dell’Autorità Palestinese, che ha trascorso 12 anni nelle carceri israeliane. Insieme a lui, per parlare di pace, c’era Benjamin Rutland, ex militare e responsabile relazioni estere dell'”Iniziativa di Ginevra- yes to an agreement“. I due, il primo proveniente da Ramallah e il secondo da Tel Aviv, hanno lanciato un accorato appello per un cessate il fuoco.

Insieme, seduti uno accanto all’altro, hanno criticato l’operato di Hamas e del governo israeliano. Hanno detto che c’è una soluzione: due stati per due popoli e che le loro società sono stanche della guerra. Benjamin e Ashraf sono estremisti del dialogo. L’episodio che mi ha colpito di più dei due è stato che sabato, giorno sacro e di riposo per gli ebrei, Benjamin non poteva salire su una macchina che fosse guidata da lui o da un’altra persona, allora, per le strade, si vedevano un ebreo e un palestinese che camminavano insieme verso i luoghi delle conferenze, intenti a dialogare. Ashraf, un tipo molto taciturno, parlava ininterrottamente in ebraico – lingua che padroneggia benissimo – con Benjamin, quasi a voler conoscere sempre di più dell’altro, a cercare certezze.

Benjamin ha ripetuto più volte che un accordo c’è già e ha mostrato un libretto stilato dalla sua organizzazione che elenca dei punti saldi, già concordati tra esponenti delle due società civili, che possono condurre a una pace. Ostacolo che pare insormontabile, sono i governi, che non sono disposti al dialogo. L’uno e l’altro traggono legittimità dallo scontro che alimenta le frustrazioni della popolazione da una e dall’altra parte. Le voci critiche israeliane e palestinesi vengono messe nell’angolo e così mettere a tavolo un palestinese e un israeliano che sono d’accordo sulla cessazione dell’occupazione israeliana, sulla creazione di due stati per due popoli e su un processo di dialogo intenso fra le due parti, pare ai più, specialmente in un momento come questo, qualcosa di superfluo, forse ridicolo, dimenticando la potenza che questi gesti hanno e il coraggio che serve per portarli avanti.

Benjamin e Ashraf sono tornati nelle loro città, nella guerra, e, solo per essersi incontrati e aver chiesto una soluzione, saranno oggetto di critiche da quelli che sono gli imprenditori della guerra che vedono nello scontro l’unica soluzione per stare a galla, rimanendo al governo. Sarebbe bello se la comunità ebraica in Italia e quella musulmana si riunissero a mandare un messaggio di pace e di dialogo per la cessazione di questa follia che sta costando caro, sopratutto ai palestinesi che vivono in quella prigione a cielo aperto che è Gaza.

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