Finiti i Mondiali di Brasile 2014, il paese sudamericano si lecca le ferite, sportive e sociali, in attesa di ospitare tra due anni le Olimpiadi di Rio 2016. Per il Brasile la combo dei due grandi eventi sportivi si preannuncia come un salasso economico di non poco conto, con Mondiale e Olimpiade che incideranno negativamente sui dati della crescita e sull’inflazione. In compenso a guadagnarci è stata la Fifa. Ora, con i Mondiali del 2018 e del 2022 già assegnati alla Russia e al Qatar con tutti i problemi e i disagi possibili e immaginabili, soprattutto per quanto concerne la scelta dell’emirato, le Olimpiadi invernali del 2018 già assegnate a Pyeongchang (Corea del Sud) e quelle estive del 2020 a Tokio (Giappone), mancano da assegnare le Olimpiadi invernali del 2022. La decisione sarà presa il 31 luglio del 2015 alla 127ma assemblea del Comitato olimpico internazionale a Kuala Lumpur, in Malesia, ma c’è un problema: nessuno le vuole.
Proprio in questo mese, infatti, il Cio avrebbe dovuto analizzare i faldoni e scremare le candidature, ma essendone rimaste solo tre delle sei inizialmente in gara, si è dovuto accontentare di quelle. Sono Almaty, la città più popolosa del Kazakistan, Pechino, capitale della Cina, e Oslo, capitale della Norvegia. Anzi no, a breve pure Oslo si tirerà indietro, come scrive il Wall Street Journal. Nonostante il paese abbia le risorse e una notevole tradizione olimpica, soprattutto invernale, la popolazione norvegese è preoccupata per i costi spropositati e gli effetti deleteri che i grandi eventi sportivi hanno sulle città che li ospitano.
L’esempio di Sochi, dove nonostante la spesa record di 50 miliardi di dollari circa, atleti e giornalisti non hanno fatto altro che lamentarsi delle strutture e delle sistemazioni, e la popolazione delle devastazioni ambientali, facendo una pessima pubblicità alla città, è solo l’ultimo in ordine di tempo.
Che i Giochi e in generale i grandi eventi sportivi dagli anni Novanta in poi, da Barcellona 1992, siano stati un salasso per le nazioni ospiti è oramai un dato di fatto, e gli esempi più recenti di Torino 2006 e Londra 2012 non fanno altro che confermarlo. E infatti, per le Olimpiadi invernali del 2022 si sono tirate indietro: Stoccolma (Svezia), il cui primo ministro a gennaio annunciando il ritiro della candidatura ha detto: “Nella situazione economica attuale anche solo candidarsi a ospitare i Giochi metterebbe a rischio i conti pubblici”; Cracovia (Polonia), dove in un referendum cittadino tenutosi a marzo oltre il 70% della popolazione ha votato no alla candidatura per ospitare i Giochi; l’accoppiata svizzera Davos e St Moritz, dove lo scorso anno un referendum antiolimpico ha vinto con il 53%.
E adesso salterà anche Oslo, lasciando sul tavolo due opzioni: Cina e Kazakistan. Ricapitolando, dopo le Olimpiadi di Rio 2016 i grandi eventi sportivi si terranno tutti in Asia: Russia, Qatar, Corea del Sud, Giappone e una a scelta tra Cina e Kazakistan. Paesi assai diversi tra loro, che oltre a non essere europei hanno però in comune una capacità economica e militare smisurata, a dimostrazione che i grandi eventi sportivi, come le riunioni dei grandi della terra, necessitano sempre più di essere organizzati e pianificati economicamente e militarmente in zone in cui possano essere controllati e gestiti a dispetto della volontà dell’opinione pubblica: non necessariamente ostile in partenza, come si è visto lo diventa sempre più in concomitanza. Per spirito olimpico, condivisione di valori e partecipazione popolare, si prega di rivolgersi altrove.