I pm di Palermo acquisiscono documenti top secret dal fascicolo dell'alto ufficiale imputato al processo. Tra il 1975 e il 1978 l'allora Sid intimò il suo allontanamento. Il legame con il golpe Borghese e il contatto con due personaggi - ancora misteriosi - coinvolti nel patto Stato-mafia
Per tre anni non ha potuto mettere piede a Roma, per espresso divieto dei Servizi segreti. È un divieto di dimora molto particolare quello che piomba sulle spalle del giovanissimo Mario Mori nel 1975. Perché è un divieto di dimora espressamente richiesto dai vertici del Sid, il servizio informazioni difesa, antenato del Sismi, dove Mori presta servizio per tre anni: dal 1972 al 1975.
L’informazione è contenuta in alcuni documenti, classificati come top secret, che compongono il fascicolo personale dello stesso Mori, custodito oggi negli archivi dell’Aise, l’Agenzia informazioni per la sicurezza esterna. Documenti che i pm Antonino Di Matteo e Roberto Tartaglia hanno depositato agli atti dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, dopo averli trovati negli schedari dei servizi. I pm che indagano sul patto tra pezzi delle istituzioni e Cosa Nostra stanno cercando di ricostruire il periodo iniziale della carriera dell’uomo che nell’estate del 1992 incontrò Vito Ciancimino.
Prima di diventare capo del Sisde, prima di guidare il Ros dei carabinieri, prima di finire sotto processo (poi assolto in primo grado) per la mancata cattura di Bernardo Provenzano, prima di essere inquisito nell’inchiesta sulla Trattativa Stato-mafia, Mario Mori era infatti un giovane e valente 007 nell’Italia dilaniata degli anni di piombo. È il 1972 quando l’allora capitano dei carabinieri entra nei servizi, grazie all’intercessione del colonnello Federico Marzollo, molto vicino a Vito Miceli, direttore del Sid fino al 1974, iscritto alla P2, poi coinvolto nell’inchiesta sul Golpe Borghese e sulla Rosa dei Venti, l’organizzazione segreta di stampo neofascista parallela all’intelligence ufficiale.
Sotto Miceli, Mori fa una splendida carriera: si occupa prevalentemente di questioni legate al terrorismo di estrema destra, ai neri, gli vengono affidati incarichi delicati, e per condurli gli viene anche costruita un’identità falsa. Fino alla fine del 1974, stando a quanto contenuto nel suo fascicolo personale, Mori è un’agente segreto molto ben visto dei suoi superiori, che infatti lo premiano perfino con encomi speciali. È in quel periodo che, secondo i documenti acquisiti dai pm palermitani, Mori incrocia due personaggi (di cui non è ancora stata rivelata l’identità), che vent’anni dopo giocheranno un ruolo anche nella complessa vicenda della tattativa.
Una coincidenza che ha destato la curiosità degli inquirenti. Che oltre a ricostruire i particolari dell’attività di Mori da giovane 007, hanno anche scoperto come il generale viene poi allontanato dai Servizi. Dopo il 1974, infatti, qualcosa si rompe. Miceli viene arrestato dal giudice di Padova Giovanni Tamburino, che indaga da alcuni mesi sulla Rosa dei Venti. E poco dopo Gianadelio Maletti, capo dell’ufficio D, quello che si occupa del controspionaggio, scrive a Mario Casardi, che ha sostituito Miceli al vertice dei servizi, chiedendo di allontanare Mori dal Sid “nel più breve tempo possibile”. Una richiesta inedita, perché accompagnata appunto da quel divieto a prestare servizio nella capitale: perché dopo un biennio ricco di soddisfazioni a Mori viene interdetto persino di prestare servizio a Roma?
La nota del Sid però viene recepita dall’Arma dei Carabinieri. Che infatti dopo il 1975, sposta Mori al Nucleo radiomobile di Napoli. Lì rimane tre anni: poi nel 1978 l’Arma prova di nuovo a spostarlo a Roma. Prima però, in maniera abbastanza irrituale, chiede il parere del Sid. Che risponde con un appunto in cui si spiega come Mori non potrà rientrare in servizio nella capitale prima della fine del processo sul Golpe Borghese.
Per quale motivo? Che cosa c’entra il futuro capo del Sisde col Golpe Borghese? Se lo chiedono i magistrati palermitani che stanno ricostruendo le origini della carriera del militare oggi imputato al processo sul patto Stato-mafia. All’epoca il processo sul golpe organizzato e mai attuato dal principe Junio Valerio Borghese inglobava anche l’inchiesta sulla Rosa dei Venti, che nel frattempo era stata “scippata” dalla Cassazione al giudice Tamburini e affidata al pubblico ministero romano Claudio Vitalone. Alla fine da quel processo tutti gli imputati finiranno assolti. Incluso il generale Miceli, vecchio mentore di Mori. Che ancora nei primi mesi del 1978 non può tornare a prestare servizio nella capitale.
Dopo un po’, però, con il processo Borghese ancora in corso, l’Arma decide di inviarlo a Roma nonostante il divieto del Sid, nominandolo a capo della sezione antiterrorismo del reparto operativo. Il primo giorno in cui Mori torna a Roma con il nuovo incarico è il 16 marzo del 1978: lo stesso giorno in cui in via Fani viene sequestrato Aldo Moro.
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