Poco tempo fa ho comprato un motorino con due anni di garanzia. Ho chiesto al venditore se per riparazioni in garanzia potevo rivolgermi all’officina del negozio. Mi ha risposto: “Sì, certo”.
Pochi mesi dopo si sono rotti due pezzi in garanzia. Porto il motorino dal venditore, che lo prende in consegna.
Dopo alcuni giorni, sorpresa, mi dice che loro non cambiano pezzi in garanzia, per queste cose devo rivolgermi all’unico meccanico autorizzato della città. Ma loro lo hanno già contattato e mi aspetta, dicono, non c’è problema. Torno a casa sollevato, ma per sicurezza chiamo il meccanico autorizzato (è un po’ lontano, non vorrei fare un viaggio a vuoto).
“Certo”, mi dice, “venga quando vuole”.
“Ah, bene, allora prendiamo un appuntamento”.
“Aspetti, sarà mica una cosa in garanzia?”
“Sì, perché?”
“Allora a settembre”.
“Ma come, mi ha detto di venire quando voglio”.
“Eh ma in garanzia è diverso”.
“E poi era già d’accordo col mio venditore”.
“Quale venditore? Io non ho sentito nessuno”.
“E poi perché fate prima le riparazioni a pagamento e poi quelle in garanzia?”
“Senta, faccia un po’ come vuole”.
Klack.
Ecco, questi sono i piccoli disastri quotidiani di vivere in un posto, Roma nel mio caso, dove nessuno è affidabile e tutti cercano di fregarti appena possibile. Prima di fare ogni piccola cosa, soprattutto le transazioni, devi pensarci cento volte. Devi raccogliere informazioni su quale sia un venditore onesto e un meccanico onesto, per esempio. Perdi un sacco di tempo che potresti dedicare al lavoro o a star bene, o a entrambe le cose. Nel dubbio, non compri.
Immaginate ora di fare a Roma transazioni più grandi o più delicate, che implicano dosi maggiori di fiducia e/o informazioni più dettagliate come l’affitto o l’acquisto di un appartamento, una visita specialistica, un piccolo intervento in una struttura sanitaria privata. E pensate come sarebbe farle in un posto più civile. E parliamo “solo” di decisioni di consumo. Mettetevi adesso nei panni di un’azienda alle prese con decisioni di investimento del valore di milioni di euro.
In fondo, questo è l’argomento su cui si basa la letteratura empirica su coesione sociale, fiducia, e crescita economica. A parità di condizioni, un paese (o una regione, o una città) dove è difficile o impossibile fidarsi degli estranei è condannato a una crescita lenta e stentata.
Nelle scienze sociali, l’Italia è considerata il caso di studio per eccellenza della relazione tra fiducia e crescita. Nel 1958 il politologo statunitense Edward Banfield inventò il termine “familismo amorale” per spiegare le ragioni del sottosviluppo del Mezzogiorno: ciascuno pensa solo al benessere della sua famiglia, al cui perseguimento si è pronti a sacrificare qualsiasi principio morale. Non c’è alcun rispetto per la cosa pubblica, per la collettività, o per gli estranei, che sono considerati soltanto allocchi da sfruttare all’occorrenza, per esempio con la richiesta di una raccomandazione.
Il clima sociale e morale del paese non sembra cambiato molto dai tempi di Banfield. E da allora gli economisti hanno accertato l’esistenza di correlazioni significative e robuste tra fiducia e crescita economica (un elenco di letture si trova sul mio sito, qui.
La mancanza di fiducia non danneggia solo le transazioni commerciali e gli investimenti (soprattutto quelli con rendimenti incerti e lontani nel tempo, per esempio per ricerca, sviluppo e innovazione). Disincentiva anche la formazione del capitale umano, altro elemento essenziale non solo per la crescita ma anche per il progresso sociale e culturale di un paese. Se tutti, dal meccanico al politico, sono disposti a ingannare gli altri per perseguire i propri interessi, se la posizione e la ricchezza di ciascuno dipendono solo da rendite, truffe e raccomandazioni, che senso ha studiare? Meglio dedicarsi ad attività più proficue, come il corteggiamento delle persone giuste nei posti giusti.
Non sorprende quindi che Brunello Rosa, ricercatore presso Roubini Global Economics, e Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, abbiano individuato nella corruzione, conseguenza “estrema” del familismo amorale, uno dei principali freni alla crescita del nostro paese in un articolo pubblicato su EconoMonitor opportunamente segnalato da ilfattoquotidiano.it. Già nel 1995 uno studio di Paolo Mauro (economista del Fondo Monetario Internazionale) mostrava l’esistenza di una correlazione negativa tra corruzione e crescita economica: paesi con un più elevato indice di corruzione (come Haiti, Indonesia e Thailandia) sperimentano a parità di condizioni un tasso di crescita più basso di paesi con burocrazie tradizionalmente più trasparenti (per esempio Singapore, Olanda e Norvegia).
Dobbiamo rassegnarci dunque? Non proprio. Mauro sostiene che migliorare l’integrità e l’efficienza della burocrazia sia un modo efficace per aumentare gli investimenti a beneficio della crescita. Come ho spiegato in un articolo su Rivista di Politica Economica, istituzioni pubbliche più efficienti migliorano la fiducia dei cittadini. Ciò vale non solo per governi e assemblee, ma anche per gli organismi che garantiscono l’amministrazione della burocrazia e della giustizia e la fornitura dei servizi pubblici.
Soprattutto a livello locale, l’intervento dello Stato esercita un’influenza decisiva sulle attitudini degli individui. Dove la qualità dei servizi pubblici è elevata, le persone saranno più propense a coordinarsi tra loro per risolvere i problemi della comunità. Quando è nota la scorrettezza dei funzionari pubblici, invece, gli individui sono generalmente tentati di trarne vantaggio. La diffidenza nei confronti dell’imparzialità dei burocrati si proietta sugli estranei, presso i quali, grazie anche al cattivo funzionamento delle istituzioni, è mediamente più elevata la probabilità di comportamenti opportunistici. Se invece i casi di parzialità e corruzione sono rari ed efficientemente sanzionati, è molto più facile avere fiducia nella disponibilità altrui a tenere comportamenti cooperativi.
Ecco, per rilanciare la crescita io ripartirei da qui. Anche perché ho bisogno del mio motorino.