Noi italiani sulla buona tavola siamo suscettibili. Anche perché è uno di quei campi nel quale di solito ci prendiamo un po’ di rivincite rispetto a popoli più ricchi o efficienti ma incapaci di cuocere la pasta in un modo sensato. Ed è per questo che la tesi sull’origine della carbonara rilanciata da un recente articolo de “Il Messaggero”, anche se supportata da alcune concrete evidenze storico-scientifiche, non può che farci storcere la bocca. Perché secondo tale teoria questa prelibatezza della cucina romana sarebbe stata in realtà inventata nientemeno che dagli americani.
A sostenerlo lo storico della gastronomia Emilio Dente Ferracci, partendo innanzitutto dalla considerazione che prima dello sbarco delle truppe alleate nel nostro Paese della carbonara non si trova traccia in nessun testo di cucina. Come sarebbe allora stato creato questo piatto da sempre considerato orgogliosamente italianissimo? In maniera semplice e poco poetica, all’americana insomma. Le truppe a stelle e strisce impegnate nel 1944 a liberare il nostro Paese erano infatti affamate e le alternative offerte da città provate dagli anni della guerra erano ben poche. La soluzione più immediata fu allora quella di sciogliere le razioni K, la dose alimentare giornaliera a disposizione dei militari, su uno dei pochi cibi che era possibile recuperare, la pasta cotta. Tale razione era composta da uova liofilizzate e bacon che, mischiate alla pasta, avrebbero dato vita al primo antenato (sicuramente meno gustoso) della carbonara.
Il discorso apparentemente fila, anche se si scontra con la tesi tradizionale secondo la quale questa specialità deriva dall’abitudine dei lavoratori che andavano nei boschi per produrre carbone e per il pranzo si portavano pecorino, guanciale e uova con i quali condire la pasta. Non facciamo neppure finta di essere imparziali e tifiamo apertamente per questa seconda alternativa, nella convinzione che anche trovare la verità potrebbe non essere fondamentale. Infatti un conto è avere l’idea iniziale, che può arrivare anche in maniera totalmente casuale, ben altro è sfruttarla con talento e trasformarla in un capolavoro. Quest’ultima cosa l’abbiamo fatta sicuramente in Italia, e più in particolare a Roma. Gli americani al massimo l’avrebbero messa dentro un panino.