Furono individuate 12 aree di interesse su cui ogni governo – compreso il nostro – avrebbero dovuto lavorare per migliorare la condizione della metà della popolazione mondiale. E si stabilì anche la necessità di una verifica, ogni cinque anni, rispetto all’attuazione del Programma d’Azione su temi come povertà, educazione, salute, violenza, economia, conflitti armati, processi decisionali, meccanismi per il progresso delle donne nelle istituzioni, diritti umani, rapporto con i mass-media,ambiente, diritti e tutela delle bambine, dati e statistiche e priorità in ascesa.
Son passati ormai 20 anni dalla Conferenza di Pechino e l’Italia, proprio come gli altri Paesi, è stata sollecitata a formulare il proprio rapporto quinquennale.
Per questa ragione, a fine maggio 2014, il Dipartimento delle Pari Opportunità ha invitato le associazioni delle società civile impegnate sulle “questioni di genere” a dare un loro contributo alla relazione, così come richiesto dall’ONU, e in vista della presentazione che il governo italiano dovrà tenere sul tema a Ginevra il prossimo novembre.
E così, da fine maggio, Fondazione Pangea ha riunito e coordinato una rete di organizzazioni per la promozione dei diritti umani, associazioni delle donne, ong, coordinamenti sindacali e singole esperte di genere, per la redazione del contributo da inviare al governo. A sorpresa, però, a giugno il governo invia autonomamente un proprio rapporto senza attendere né avvisare le associazioni che da ormai un mese stavano lavorando.
Oggi presso la sala stampa della Camera dei Deputati, ospitata dall’Onorevole Rosa Villecco Calipari, si è svolta la presentazione del rapporto “Cosa veramente è stato fatto in Italia per le donne” nel quinquennio 2009-2014 in base all’attuazione della Piattaforma d’Azione di Pechino. Un rapporto evidentemente “non governativo” che le organizzazioni hanno ritenuto doveroso divulgare, tanto per precisare alcuni punti che non sono emersi nella relazione di Governo. Il rapporto è scaricabile su questo link.
L’Italia, rispetto al tema della parità di genere, ha attirato l’attenzione e le critiche delle istituzioni internazionali (1) diverse volte negli ultimi cinque anni. Anche se recentemente vi è una maggiore rappresentanza di donne ai vertici della politica, (ministre, parlamentari etc.) ciò non equivale a una piena attuazione delle pari opportunità o che le donne vivono meglio nel Paese in cui si registra uno dei peggior tassi di occupazione femminile, uno dei più alti tassi di disoccupazione, una quasi delle totale assenza delle donne nei media a titolo di esperte o opinion leader (16% vs l’84% degli uomini) (2), mentre continuano facilmente a far notizia come vittime (3) e via dicendo.
Il rapporto del governo rappresenta in modo alquanto parziale e approssimativo la realtà che vivono ogni giorno le donne in Italia; non cita quasi mai le fonti e i dati delle azioni si cui parla spesso si riferiscono ad azioni antecedenti al periodo 2009-2014; non sempre si riportano notizie esatte, soprattutto non si analizzano a sufficienza le cause reali delle diseguaglianze.
Il bassissimo tasso di interruzione volontaria di gravidanza –per esempio ( p.20) – non è dovuto a un efficiente pianificazione familiare come riporta il testo formulato dal governo, ma al contrario “ alla chiara coscienza della situazione drammatica e senza scelta in cui le donne si trovano: discriminazioni, precarietà (4) e mancanza di lavoro, elevati costi delle abitazioni, progressivo smantellamento del sistema del welfare, nonché assenza di effettive ed efficaci politiche di sostegno alla genitorialità oltre a un generale malessere sociale” come restituiscono le associazioni”.
Le principali criticità o “dimenticanze” individuate nel rapporto della società civile sono:
– la carenza di un sistema di raccolta, analisi e diffusione di statistiche di genere, che potrebbe consentire il monitoraggio e la valutazione delle politiche messe in atto a diversi livelli;
– l’elevato livello di povertà femminile soprattutto nelle famiglie monoparentali, nonché il progressivo assottigliarsi del già fragile sistema di welfare,
– l’insufficiente difesa della salute e dei diritti sessuali e riproduttivi,
– il basso tasso di occupazione delle donne e la generale mancanza e precarietà di lavoro sia tra le nuove generazioni sia tra le over 40,
– la questione della violenza maschile sulle donne in assenza di un complessivo ed efficace sistema di contrasto e l’entrata in vigore della Convenzione di Istanbul,
– il monitoraggio dell’applicazione delle Convenzioni a partire dalla CEDAW (Convenzione per l’eliminazione delle discriminazioni contro le donne) e del sistema dei diritti umani delle Nazioni Unite, nonché delle Risoluzioni dell’ONU su Donne, Pace e Sicurezza che riguardano da vicino un paese con un numero significativo di“missioni militari di pace” ed un costante flusso di arrivi di migranti, in particolare richiedenti asilo che provengono da zone di guerra e di conflitto;
– il rapporto donne e media;
– il riconoscimento delle problematiche ambientali collegate alle donne e alle loro esperienze e saperi, per garantire sicurezza sociale e risorse ambientali “pulite”e rinnovabili.
L’Italia, il governo Italiano, deve fare chiarezza e impegnarsi diversamente a partire dal periodo della sua Presidenza UE al fine di rispettare gli obblighi internazionali del Paese e dimostrare un radicale cambiamento di tendenza rispetto alla responsabilità che lo Stato ha e intende assumere nei confronti di tutte le donne che vivono in Italia per promuovere la parità di genere e quindi lo Sviluppo in Italia. A cominciare dal dire le cose come stanno.
1 Il rapporto ONU/CEDAW del 2011 e la visita in Italia della Special Rapporteur dell’ONU sulla Violenza sulle donne, hanno ampiamente segnalato le maggiori “criticità” per l’accesso ai diritti delle donne in Italia.
2 Dati forniti da Monia Azzalini, ricercatrice dell’Osservatorio di Pavia, respons.le dell’Osservatorio Europeo sulle Rappresentazioni di Genere
3 Nel 16% dei casi contro il 7% dei casi maschili
4 “Dimissioni in bianco”, contratti ultraprecari e lavoro nero.