Per vent’anni è stato uno dei principali 007 italiani: mentre le bombe facevano strage a ritmo continuo nell’Italia degli anni di piombo, Gianadelio Maletti era il numero due del Sid, il servizio informazioni della difesa, antenato del Sismi. Un incarico che mantiene dal 1971 fino al 1975. Poi la caduta: prima viene rimosso dall’incarico ai vertici del Sid, poi viene arrestato nel 1976, quindi arriva la condanna per aver depistato le indagini sulla strage di Piazza Fontana, diventata definitiva nel 1987. Troppo tardi però: perché Maletti è già all’estero, fuggito a Johannesburg, in Sudafrica, Paese che gli ha concesso la cittadinanza già nel 1981. Ed è proprio lì, a Johannesburg, che i pm della procura di Palermo vogliono recarsi per interrogare l’ex numero due dei servizi segreti negli anni ’70.
Antonino Di Matteo, Roberto Tartaglia, Vittorio Teresi e Francesco Del Bene, i pm palermitani che indagano sulla Trattativa Stato–mafia, hanno già preparato una complessa rogatoria internazionale per chiedere al ministero degli Esteri di poter interrogare Maletti, ufficialmente latitante. La rogatoria è da diverse settimane al vaglio dei funzionari della Farnesina, ma ai pm palermitani non è ancora arrivato il via libera. È soprattutto una la domanda che gli investigatori vogliono porre allo 007: perché nel 1975 scrisse all’allora direttore del Sid Mario Casardi chiedendo di allontanare Mario Mori dai servizi “nel più breve tempo possibile”? Il generale dei Carabinieri, poi direttore del Sisde e oggi imputato nel processo sulla Trattativa Stato–mafia, tra il 1972 e il 1975 era infatti in servizio al Sid, diretto da Vito Miceli. Nel 1975, però, dopo l’arresto di Miceli, Maletti, che guidava l’ufficio D del Sid, quello competente per il controspionaggio, chiede espressamente di allontanare Mori. Un esilio forzato e anomalo che, come raccontato dal fattoquotidiano.it, dura tre anni.
Poi nel 1978 l’Arma dei Carabinieri prova a spostare nuovamente Mori a Roma, ma dal Sid arriva un nuovo stop: il futuro generale doveva rimanere lontano dalla capitale fino alla fine del processo sul Golpe Borghese, che vedeva imputato anche Miceli. Perché? Cosa c’entra Mori col Golpe Borghese? E perché Maletti chiede di silurarlo, vietandogli di prestare servizio nella capitale? È quello che vogliono capire gli inquirenti che stanno ricostruendo il segmento iniziale della carriera di Mori, l’uomo che nell’estate del 1992 si reca da Vito Ciancimino, dando di fatto il via alla cosiddetta Trattativa.
Maletti, che oggi ha 93 anni, ha rilasciato negli anni scorsi due interviste: una a Il Fatto Quotidiano nel 2009, e una a la Repubblica nel 2000, in cui rivelava di come ci fosse stata la Cia dietro la strategia della tensione degli anni ’60 e ’70. Ipotesi ribadita in un aula di giustizia nel 2001, quando grazie ad un salvacondotto, rientra in Italia per deporre al processo sulla strage di Piazza Fontana. Durante la sua testimonianza gli viene chiesto perché lui e i suoi colleghi non avessero mai informato la magistratura della presenza dell’intelligence statunitense dietro le stragi. La risposta fornita dall’ex numero due dei servizi militari italiani è da pelle d’oca: “Fino al 1974 – disse – nessuno ci aveva spiegato che dovevamo difendere la Costituzione”.
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