Dopo l'ennesimo bilancio in perdita e il rinvio al 2016 dell'obiettivo del raggiungimento del pareggio, la società di Italo apre le trattative con gli istituti ai quali deve oltre 600 milioni. Intesa In testa
Luca Cordero di Montezemolo fa i conti con le banche. Non in quanto vicepresidente di Unicredit, né in veste di candidato alla presidenza di Alitalia. La colpa è dei debiti della sua Nuovo trasporto viaggiatori che dovrà sedersi al tavolo con gli istituti creditori per negoziare la ristrutturazione del suo debito di circa 650 milioni di euro. E per farlo sta ingaggiando i consulenti di Lazard il compito di affiancarlo nella trattativa con i creditori per rimodulare la sua esposizione. Nessun commento ufficiale dal quartier generale di Italo, ma qualcosa di più è atteso dopo la riunione del consiglio di amministrazione che mercoledì 30 luglio dovrà discutere il piano industriale della società dei treni.
Del resto i conti della società parlano da soli. Nel 2013 Ntv, in cui ha investito anche Intesa SanPaolo dai tempi della gestione di Corrado Passera, ha registrato un risultato operativo negativo per 104 milioni, che consola solo perché in miglioramento rispetto ai 140 milioni dell’esercizio precedente. Più netto il progresso del fatturato che è passato dagli 83 milioni del 2012 a quota 246 milioni, mentre le passività non ricorrenti si sono attestate a 691 milioni. Cifre che hanno impedito anche quest’anno Montezemolo e soci di raggiungere il pareggio. Del resto lo scorso dicembre, l’obiettivo era ufficialmente slittato al 2016.
Gran parte dell’esposizione, in scadenza tra il 2020 e il 2025, è dovuta appunto al socio-creditore Intesa (127 milioni verso Banca Imi e 424 milioni verso Leasint, che ha finanziato in leasing l’acquisto dei treni Alstom), titolare di una quota del 20% nel gruppo partecipato anche dalle ferrovie francesi (20%), dalle Generali (15%) e da alcuni imprenditori che inclusi Montezemolo e l’amico Diego Della Valle. Al 31 dicembre 2012 la società aveva inoltre in essere un collar finalizzato a contenere il tasso di interesse sulle linee di credito per cassa tra il 4,15 e il 5 per cento. All’epoca il derivato segnava una perdita di 43,9 milioni a favore di Intesa, Mps e Banco Popolare, gli istituti con cui era stato costruito.