L’autunno scorso, il cinquantasettenne dimissionario segretario generale dell’Ars venne sostituito da un sessantenne con una lunga carriera alle spalle, sempre all’interno del parlamento siciliano. Il prossimo recepimento in Sicilia del tetto di 240.000 euro (in base al principio “nessuno più alto del Colle”) agli stipendi pubblici ha consigliato al neo segretario generale in questione nuove dimissioni anticipate (anticipate soprattutto rispetto ai comuni mortali) per consentire di portare a casa, sotto forma di pensione, lo stesso importo (altro privilegio).
Parliamo di circa 600.000 euro perché lo stesso alto burocrate, trincerato dietro motivazioni di privacy, non ha voluto rivelare neanche sotto interrogazione parlamentare la cifra esatta del suo stipendio con la complice omertà degli uffici sottoposti che amministrano la contabilità dell’istituzione. Il fatto che si tratti pur sempre di soldi dei contribuenti evidentemente non conta, visto che la Regione Siciliana (unica tra quelle “speciali”) trattiene per statuto il 100% delle entrate fiscali dei residenti. Quindi 1.500-1.600 euro al giorno di stipendio, ora pensione. Come dire: fatta la legge, trovato l’inganno.
In Sicilia ciò che altrove provoca indignazione, produce al massimo invidia oppure una malintesa onestà intellettuale per la quale si ammette a se stessi che si sarebbe agito allo stesso modo, sono sintomi di quella cultura parassitaria che è la matrice dei mali che tradizionalmente soffocano ogni tentativo di sviluppo in senso civile e moderno dell’Isola. Personalmente, l’entità del reddito non mi impressiona, né tantomeno mi causa invidia verso persone che nemmeno conosco, ma allo stesso tempo non posso non ragionare per logica, guardando al contesto in cui fatti del genere accadono.
Una domanda da porsi non sarebbe questa: i cacciatori di teste alla notizia che delle persone pagate per le responsabilità capaci di assumersi il doppio di Obama avranno sgomitato per accaparrarseli per coprire ruoli chiave in multinazionali o in istituzioni internazionali? No? E non sorge il dubbio di averli pagati troppo? Non è evidente che nessun imprenditore privato avrebbe così impiegato i propri soldi?
Si obietterà che parliamo di gente assunta per concorso pubblico, le cui indennità sono stabilite dalla legge (regionale). Bene, è qui che volevo arrivare per un discorso più ampio che riguarda l’Italia intera. Privilegi, sprechi di denaro pubblico, abusi, ecc. non li subiamo, purtroppo, nel corso di rapine a mano armata. Il rapinatore non sa se si troverà di fronte una vittima pure armata e con riflessi pronti e questo comporta un minimo di rischio per rapinatore, complici, “palo”, ecc. Qui invece siamo oltre: la “rapina” viene realizzata a rigore di legge con la complicità del legislatore e del giudice eventualmente chiamato a pronunciarsi su “diritti acquisiti” mentre l’opinione pubblica funge da palo. Per convenzione sociale abbiamo rinunciato a girare armati per proteggerci o farci giustizia da soli delegando queste funzioni al potere esecutivo, al legislatore e alla magistratura e assistiamo oggi a come il diritto e la giustizia vengano usati come armi per perpetrare una violenza più raffinata e senza rischi ai danni, soprattutto, delle giovani generazioni ignare di quanto avviene attraverso “questa cosa sporca che ci ostiniamo a chiamare democrazia” come cantava Gaber.