Alla fine del mese di giugno il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini ha annunciato l’approvazione alla modifica al Codice dei Beni culturali con l’introduzione dell’art. 9-bis in cui sono nominati i professionisti ai quali saranno affidati la tutela, protezione e conservazione dei beni culturali nonché gli interventi riguardanti la loro valorizzazione e fruizione. Nell’attesa di conoscere i criteri di selezione e i requisiti per essere inseriti nell’elenco nazionale dei professionisti dei beni culturali, ma soprattutto di capire a cosa servirà realmente l’iscrizione, è da rilevare che per la prima volta lo Stato italiano riconosce che “archeologi, archivisti, bibliotecari, demoetnoantropologi, antropologi fisici, restauratori di beni culturali e collaboratori restauratori di beni culturali, esperti di diagnostica e di scienze e tecnologia applicate ai beni culturali e storici dell’arte, in possesso di adeguata formazione ed esperienza professionale” siano professionisti competenti ad eseguire interventi sui beni culturali.
Se l’approvazione della modifica vuole essere un segnale di attenzione al patrimonio culturale italiano e agli esperti che lavorano e si impegnano in quest’ambito e se attraverso il riconoscimento delle diverse professionalità saranno favoriti la stretta collaborazione tra università, soprintendenze e musei, oltre che lo scambio e l’arricchimento reciproco delle molteplici competenze necessarie alle attività culturali, c’è da sperare che l’approvazione della legge apra nuove prospettive alla ricerca, alla sperimentazione e al progresso delle tecnologie affinché sia consentito l’accesso al patrimonio culturale non soltanto agli specialisti, ma anche ad un pubblico vasto.
A questo proposito è quanto mai opportuno includere accanto alle professionalità nominate nel testo dell’art. 9-bis anche quella degli storici della musica. L’Italia è la nazione che ha contribuito come nessun’altra allo sviluppo della musica non soltanto in Europa ma anche nel mondo, ed è necessario che siano i musicologi ad operare ed eseguire interventi sul patrimonio musicale che comprende testimonianze oggettive (partiture, trattati, documenti, strumenti musicali, edifici pertinenti alla musica) e testimonianze intellettuali (tecniche, saperi, opere musicali).
Nel Paese dove sono nate le prime scuole professionali di musica, dove per la prima volta la musica è stata stampata e dunque diffusa, dove è nata l’opera e numerosi strumenti musicali – bastino per tutti il pianoforte e il violino – dove sono stati creati la maggior parte di generi e termini musicali usati ancora oggi in tutto il mondo, dove esistono fondi musicali archivistici e bibliotecari in quantità ineguagliata, non deve persistere ancora la convinzione che la musica non sia un bene storico e culturale. Accade invece in altri paesi europei e non che la musica sia considerata anche componente essenziale dell’educazione e della cultura del cittadino.
La musica con l’arte figurativa, l’architettura, la poesia e la letteratura è parte dell’identità nazionale degli italiani e del continuum che lega il patrimonio culturale al paesaggio e al territorio, contribuendo all’unicità del “modello Italia” e a creare non soltanto un notevole indotto economico interno ma anche a proiettare l’immagine positiva del nostro Paese all’estero.
Con gli altri “addetti ai lavori” gli storici della musica possono contribuire alla tutela, conservazione e valorizzazione dei beni e delle attività culturali e concorrere alla realizzazione del “modello Italia” – da esportare in Europa e altrove -, e alla ricerca viva e attiva sul patrimonio culturale in grado di far dialogare non solo la cultura umanistica con quella scientifica ma anche con le nuove tecnologie, stimolandone il progresso allo scopo di rendere i beni culturali fruibili da tutti.
È quanto è stato sperimentato recentemente con il progetto La storia che cela la storia. Un museo virtuale per riscoprire la chiesa di San Giovanni Evangelista in Ravenna condotto dai docenti e dai ricercatori del Dipartimento di Beni culturali dell’Università di Bologna. Il gruppo di ricerca, che si è avvalso della stretta collaborazione con le istituzioni amministrative, bibliotecarie e religiose della città di Ravenna, ha coinvolto storici, archeologi, musicologi, informatici e geologi che hanno lavorato assieme e in una prospettiva interdisciplinare, realizzando uno studio completo sulla basilica ravennate come bene culturale in continua evoluzione attraverso l’analisi e la raccolta delle conoscenze storiche, artistiche, fotografiche, archivistiche, bibliografiche, musicali e archeologiche della chiesa e delle sue modificazioni in quasi sedici secoli di esistenza.
Oltre alla realizzazione di una mostra, punto di forza del progetto di ricerca è l’uso delle tecnologie di visualizzazione tridimensionale delle diverse ipotesi (ri)costruttive dell’architettura e dell’apparato decorativo della basilica da comunicare ai visitatori: in qualsiasi momento, da postazioni fisse o tramite tablet, si può accedere alle informazioni selezionate dai ricercatori e raccolte in una “linea del tempo”, attraverso la quale si può scegliere il momento storico da esplorare e arricchire la propria esperienza di visita anche con contenuti sonori e musicali in relazione con i diversi periodi storici della basilica.
L’esempio ravennate mette in evidenza che solo attraverso competenze eterogenee, tuttavia complementari, si può dare vita a progetti culturali che se da un lato non rinunciano alla comunicazione della ricerca e di studi rigorosi, dall’altro sono in grado di attrarre un ampio numero di visitatori affascinati e stimolati da percorsi che esaltano la continuità-contiguità del patrimonio culturale e il suo contesto.
Non sappiamo se la legge sul riconoscimento delle figure impegnate nei beni culturali favorirà o meno il nostro bene culturale più prezioso e che il mondo ci invidia, cioè l’intreccio tutto italiano esistente fra monumenti, musei, città e cittadini con la storia, la letteratura, la musica, la cultura figurativa e il paesaggio del nostro paese. Di certo c’è che se non si creeranno le condizioni affinché le università, le soprintendenze, i musei e i Cnr siano messi nelle condizioni di lavorare in stretto rapporto e di collaborare questa sarà per l’Italia un’altra occasione persa.