Se l’approvazione della modifica vuole essere un segnale di attenzione al patrimonio culturale italiano e agli esperti che lavorano e si impegnano in quest’ambito e se attraverso il riconoscimento delle diverse professionalità saranno favoriti la stretta collaborazione tra università, soprintendenze e musei, oltre che lo scambio e l’arricchimento reciproco delle molteplici competenze necessarie alle attività culturali, c’è da sperare che l’approvazione della legge apra nuove prospettive alla ricerca, alla sperimentazione e al progresso delle tecnologie affinché sia consentito l’accesso al patrimonio culturale non soltanto agli specialisti, ma anche ad un pubblico vasto.
A questo proposito è quanto mai opportuno includere accanto alle professionalità nominate nel testo dell’art. 9-bis anche quella degli storici della musica. L’Italia è la nazione che ha contribuito come nessun’altra allo sviluppo della musica non soltanto in Europa ma anche nel mondo, ed è necessario che siano i musicologi ad operare ed eseguire interventi sul patrimonio musicale che comprende testimonianze oggettive (partiture, trattati, documenti, strumenti musicali, edifici pertinenti alla musica) e testimonianze intellettuali (tecniche, saperi, opere musicali).
Nel Paese dove sono nate le prime scuole professionali di musica, dove per la prima volta la musica è stata stampata e dunque diffusa, dove è nata l’opera e numerosi strumenti musicali – bastino per tutti il pianoforte e il violino – dove sono stati creati la maggior parte di generi e termini musicali usati ancora oggi in tutto il mondo, dove esistono fondi musicali archivistici e bibliotecari in quantità ineguagliata, non deve persistere ancora la convinzione che la musica non sia un bene storico e culturale. Accade invece in altri paesi europei e non che la musica sia considerata anche componente essenziale dell’educazione e della cultura del cittadino.
La musica con l’arte figurativa, l’architettura, la poesia e la letteratura è parte dell’identità nazionale degli italiani e del continuum che lega il patrimonio culturale al paesaggio e al territorio, contribuendo all’unicità del “modello Italia” e a creare non soltanto un notevole indotto economico interno ma anche a proiettare l’immagine positiva del nostro Paese all’estero.
Con gli altri “addetti ai lavori” gli storici della musica possono contribuire alla tutela, conservazione e valorizzazione dei beni e delle attività culturali e concorrere alla realizzazione del “modello Italia” – da esportare in Europa e altrove -, e alla ricerca viva e attiva sul patrimonio culturale in grado di far dialogare non solo la cultura umanistica con quella scientifica ma anche con le nuove tecnologie, stimolandone il progresso allo scopo di rendere i beni culturali fruibili da tutti.
È quanto è stato sperimentato recentemente con il progetto La storia che cela la storia. Un museo virtuale per riscoprire la chiesa di San Giovanni Evangelista in Ravenna condotto dai docenti e dai ricercatori del Dipartimento di Beni culturali dell’Università di Bologna. Il gruppo di ricerca, che si è avvalso della stretta collaborazione con le istituzioni amministrative, bibliotecarie e religiose della città di Ravenna, ha coinvolto storici, archeologi, musicologi, informatici e geologi che hanno lavorato assieme e in una prospettiva interdisciplinare, realizzando uno studio completo sulla basilica ravennate come bene culturale in continua evoluzione attraverso l’analisi e la raccolta delle conoscenze storiche, artistiche, fotografiche, archivistiche, bibliografiche, musicali e archeologiche della chiesa e delle sue modificazioni in quasi sedici secoli di esistenza.
Oltre alla realizzazione di una mostra, punto di forza del progetto di ricerca è l’uso delle tecnologie di visualizzazione tridimensionale delle diverse ipotesi (ri)costruttive dell’architettura e dell’apparato decorativo della basilica da comunicare ai visitatori: in qualsiasi momento, da postazioni fisse o tramite tablet, si può accedere alle informazioni selezionate dai ricercatori e raccolte in una “linea del tempo”, attraverso la quale si può scegliere il momento storico da esplorare e arricchire la propria esperienza di visita anche con contenuti sonori e musicali in relazione con i diversi periodi storici della basilica.
L’esempio ravennate mette in evidenza che solo attraverso competenze eterogenee, tuttavia complementari, si può dare vita a progetti culturali che se da un lato non rinunciano alla comunicazione della ricerca e di studi rigorosi, dall’altro sono in grado di attrarre un ampio numero di visitatori affascinati e stimolati da percorsi che esaltano la continuità-contiguità del patrimonio culturale e il suo contesto.
Non sappiamo se la legge sul riconoscimento delle figure impegnate nei beni culturali favorirà o meno il nostro bene culturale più prezioso e che il mondo ci invidia, cioè l’intreccio tutto italiano esistente fra monumenti, musei, città e cittadini con la storia, la letteratura, la musica, la cultura figurativa e il paesaggio del nostro paese. Di certo c’è che se non si creeranno le condizioni affinché le università, le soprintendenze, i musei e i Cnr siano messi nelle condizioni di lavorare in stretto rapporto e di collaborare questa sarà per l’Italia un’altra occasione persa.