È considerato l’ottavo “Big killer” al mondo. Uccide ogni anno quasi un milione e mezzo di persone. Come l’Aids, ma con meno clamore. È l’epatite virale, un’epidemia globale silenziosa che, secondo l’ultimo rapporto dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), colpisce centinaia di milioni di persone, spesso inconsapevoli della malattia, priva di sintomi e a lungo latente prima di manifestarsi in forma cronica con cirrosi o cancro al fegato. “A differenza dell’Hiv, è una patologia spesso dimenticata”, sostengono gli esperti dell’Oms. Che ha scelto per questo nel 2010 d’istituire, il 28 luglio, una Giornata mondiale contro l’epatite (foto dal sito).
L’Aifa ha deciso di fornire da subito e gratuitamente per i casi più gravi il Sofosbuvir. In vista di questo appuntamento, l’Oms ha invitato gli Stati a sviluppare un piano nazionale per la prevenzione, la diagnosi e il trattamento della malattia. “Il piano dovrebbe essere varato a breve – ha dichiarato il ministro della Salute Beatrice Lorenzin, a margine di un recente convegno al Senato, tenendo conto anche dei nuovi farmaci per l’epatite C, in grado di eradicare la malattia”. Proprio nelle scorse settimane l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha deciso, in occasione della riunione straordinaria del Comitato prezzi e rimborso (Cpr), di fornire da subito e gratuitamente per i casi più gravi il nuovo farmaco contro l’epatite C, il Sofosbuvir, in grado d’interferire con la replicazione del virus, permettendone l’eliminazione in oltre il 90% dei casi. “Il Sofosbuvir è un farmaco antivirale che inibisce la Rna polimerasi, un enzima che il virus dell’epatite C (Hcv) usa per la sua replicazione – spiega Giovanni Rezza, epidemiologo e direttore del dipartimento malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità (Iss) -. Si tratta di un farmaco efficace per il trattamento dell’infezione cronica da Hcv, che agisce specificamente su questo virus. Naturalmente, lo possiamo considerare un farmaco salvavita per un numero limitato di pazienti, ma anche un farmaco utilissimo per un’ampia proporzione di persone infette con epatite cronica. Stabilire priorità nell’accesso alla terapia – sottolinea Rezza – è quindi fondamentale”.
Il farmaco, autorizzato dall’Agenzia europea dei medicinali (Ema), può essere già prescritto, nell’ambito di un programma di uso compassionevole, dai centri trapianto ai pazienti con epatite C in lista d’attesa per un fegato nuovo, o già trapiantati. Condizioni cliniche che richiedono un trattamento urgente e non consentono di attendere la definitiva autorizzazione nazionale, che richiederà ancora alcuni mesi. “I pazienti che ricevono il trattamento per uso compassionevole sono circa 400, e 1200 quelli immediatamente gestibili”, ha affermato nei giorni scorsi Luca Pani, direttore generale dell’Aifa.
Ogni pillola 600 euro. Quindici paesi europei all’azienda che lo produce: “Prezzo compromette i nostri bilanci”. Intanto, le trattative tra il ministero della Salute e la ditta produttrice per la definizione del prezzo di vendita sono state prorogate fino al 29 settembre. “L’azienda ha chiesto uno stop – ha spiegato Pani -, per valutare gli impatti farmaco-economici di una scala di trattamenti che non era di poche migliaia o poche decine di migliaia di pazienti, ma diverse centinaia di migliaia. E questo cambia le valutazioni d’impatto”. Il principale ostacolo all’utilizzo su ampia scala del nuovo farmaco è, infatti, rappresentato proprio dal costo elevato della terapia. L’Europa, che conta circa 4 milioni di portatori di epatite C, ha deciso di fare fronte comune e chiedere all’azienda americana Gilead, detentrice del brevetto, di abbassare il prezzo fissato negli Usa alla fine del 2013. Ogni pillola costa, infatti, circa 600 euro e per un ciclo completo di 12 settimane ne occorrono oltre 60mila. “Si tratta di un prezzo molto elevato che compromette i nostri bilanci sanitari”, recita una dichiarazione congiunta promossa dalla Francia e indirizzata a Bruxelles affinché intervenga per calmierare il prezzo del trattamento. A firmarla quindici Paesi dell’Ue, tra i quali l’Italia, dove l’epatite rappresenta uno dei maggiori problemi di salute pubblica.
Il nostro Paese, secondo l’Oms, ha il primato europeo di persone infettate dal virus dell’epatite C e quello di mortalità per tumore al fegato. “In Italia – precisa Rezza – le stime si basano su studi vecchi ed effettuati a livello locale, come piccoli Comuni, spesso scelti per convenienza di esecuzione dello studio e quindi poco rappresentativi della situazione nazionale. Tenendo ben presenti queste limitazioni – aggiunge l’epidemiologo dell’Iss – si può comunque azzardare una stima di oltre un milione di infetti, con una distribuzione a gradiente crescente da Nord a Sud. Tra i portatori ci sono non meno di 330mila pazienti con cirrosi. Più di 20mila persone muoiono ogni anno per malattie croniche del fegato e nel 65% dei casi, quindi circa 13mila l’anno, l’epatite C risulta causa unica o concausa dei danni epatici”. Secondo l’Istat, inoltre, ogni anno sono circa 4mila le nuove diagnosi di epatocarcinoma, la metà delle quali è causata dal virus dell’epatite C, e circa il 20% dal ceppo di tipo B.
Il ministro della Salute Lorenzin: “Lavoriamo per assicurare cure gratuite”. “Stiamo lavorando per assicurare gratis le nuove cure contro l’epatite C a chi è affetto da questa grave malattia – ha dichiarato nei giorni scorsi il ministro Lorenzin -. Il sistema sanitario dovrebbe farsene carico, ma in questo momento si sta ancora trattando sul prezzo”. “Certo, il costo è molto elevato – commenta Rezza -, anche se bisogna considerare in parte l’investimento fatto dall’industria in termini di ricerca e sviluppo. È altrettanto chiaro, però, che il farmaco va dato innanzitutto, in tempi stretti, a chi ne ha più bisogno, per poi allargare la disponibilità alle persone che ne potrebbero trarre vantaggio, anche se con meno urgenza. In quest’ultimo caso, credo che potrebbe abbassarsi il prezzo. Allo stesso tempo – aggiunge lo studioso – bisogna considerare che nel giro di pochi mesi potrebbero rendersi disponibili altri antivirali efficaci, un po’ com’è successo per l’Hiv. A quel punto, la fine del monopolio potrebbe comportare di per sé un abbassamento dei prezzi. In queste occasioni – sottolinea Rezza – credo ci voglia molto equilibrio. C’è il diritto al guadagno da parte di chi tanto ha investito, pena la mancanza di futuri investimenti, ma anche il diritto alle cure da parte dei cittadini, per ribadire un forte ruolo da parte della sanità pubblica. Credo – conclude l’epidemiologo dell’Iss – che questi interessi possano essere salvaguardati per il futuro della ricerca e la tutela dei malati”.