Dopo aver ritrattato a suon di colpi di spugna accordi e investimenti per la raffinazione italiana, Eni rafforza la sua presenza in Africa. L’amministratore delegato Claudio Descalzi e Matteo Renzi, durante la recente missione del premier in Africa, hanno infatti annunciato progetti sul gas per 50 miliardi di dollari in sei anni in Mozambico. “La società (capofila di un consorzio con Anadarko, ndr) ha fatto la più importante scoperta di gas della sua storia: 2.400 miliardi di metri cubi di gas che consentirebbero di soddisfare il bisogno degli italiani per trent’anni”, ha detto Descalzi. E il premier ha rincarato la dose: “Se va in porto l’operazione (che è legata all’approvazione di una legge varata dal governo in attesa di via libera dal Parlamento, ndr) avremo gas sufficiente per i prossimi 30-40 anni. Stiamo gettando le condizioni per il futuro dei nostri figli”. Dichiarazioni che ai lavoratori italiani suonano quasi come una provocazione e che gettano benzina sul fuoco nella vertenza sulla crisi della raffinazione. “Non vogliamo andare in Mozambico”, si leggeva su uno striscione del corteo di mille lavoratori scesi in piazza a Gela, dove Eni ha revocato i 700 milioni di investimenti per ammodernare l’impianto.
Sono giorni che Filctem-Cgil, Femca-Cisl, Uiltec-Uil chiedono a Renzi stesso di intervenire a difesa dell’industria e dei lavoratori italiani. Del resto il governo è il primo azionista del Cane a sei zampe. Ora il ministro dello Sviluppo Federica Guidi ha convocato per il 30 luglio un tavolo sulla raffinazione con sindacati e società. Troppo poco per i rappresentanti dei lavoratori, che vorrebbero un’azione più incisiva dal premier stesso. “Il governo chiarisca se l’Eni risponde solo al mercato e alla Borsa o deve dar conto delle decisioni anche all’azionista di riferimento”, dicono le tre sigle. Del resto le intenzioni di Eni sono chiare da tempo: già ad aprile, presentando il piano industriale al 2017, l’allora numero uno Paolo Scaroni aveva detto che la società sarebbe cresciuta soprattutto nell’esplorazione e produzione (E&P), mentre avrebbe ridotto la presenza nella raffinazione e nella rete carburanti. Anche la successiva nomina come amministratore delegato di Descalzi è significativa: il manager ha costruito tutta la sua carriera nell’E&P di Eni, soprattutto in Africa.
Ragionamenti che si fanno ancora più validi con l’escalation della crisi ucraina e la decisione dell’Unione europea di colpire con nuove sanzioni la Russia, anche nel settore dell’energia. “Le sanzioni sono sempre un problema sia per chi le riceve che per chi le impone”, ha avvertito il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Non aiutano, tra l’altro, le tensioni in tutto il Medio Oriente e in particolare in Libia. A Tripoli proseguono gli scontri ed è stato colpito un deposito di carburante all’aeroporto. Nei giorni scorsi è stato evacuato lo staff Eni dalla sede di Mellitah Oil & Gas nella capitale e il flusso di gas verso l’Italia è rallentato sensibilmente. Oltre quindi a motivi legati al business (l’E&P è il settore che rende di più a tutte le compagnie petrolifere), l’Eni ha un enorme bisogno di differenziare i fornitori.
Di qui l’idea di puntare sull’Africa, in particolare sul Mozambico. La società è già presente in Angola, Congo, Ghana, Gabon, Nigeria, Togo, Kenya e Liberia. L’Africa per l’Italia e per l’Europa deve essere una “priorità, non più un luogo da dimenticare”, ha detto Renzi. Tant’è che “è la prima volta di un premier italiano in Mozambico, ma anche nell’Africa subsahariana se si esclude la visita di Prodi del 2006 ad Addis Abeba per l’Unione Africana”. C’è però da considerare che anche questa zona è molto instabile politicamente. In Mozambico alla fine del 2013 si sono verificati nuovi violenti scontri tra governo e opposizione. Inoltre, si tratta di Paesi che non influiscono molto sul nostro fabbisogno energetico e difficilmente si può pensare che in futuro possano fare concorrenza agli attuali fornitori. Nel 2013 oltre il 40% dei consumi nazionali sono stati coperti dal gas russo, il 18% da quello algerino e l’8% da quello libico. Si è trattato di un anno anomalo perché molti importatori italiani hanno ridotto per motivi contrattuali i prelievi dall’Algeria e aumentato quelli dalla Russia. Nel 2011, anno più stabile, veniva importato dall’Algeria il 32,6%, dalla Russia il 28,1%, dal Qatar il 8,8%, dalla Libia il 3,3 per cento. Anche qualora l’operazione in Mozambico andasse in porto, il quadro probabilmente cambierebbe poco: è facile ipotizzare che il gas trovato verrebbe venduto ai Paesi asiatici senza arrivare mai in Italia.