Hanno lasciato Tripoli per la Tunisia, il personale americano dell’ambasciata a Tripoli. In una nota si legge che le operazioni della sede diplomatica saranno sospese sino a quando il livello di sicurezza non sarà migliorato. Da settimane Tripoli è teatro di scontri tra milizie rivali, in cui sono morte e rimaste ferite decine di persone; violenze particolarmente intense vicino all’aeroporto. Si tratta della seconda volta che gli Usa chiudono l’ambasciata in Libia in poco più di tre anni.
Scortati di 80 marines, lavoreranno dalla Tunisia – La portavoce del dipartimento di Stato Usa, Marie Harf, ha fatto sapere che il personale diplomatico si trova ora in Tunisia dove è stato scortato nella notte da 80 marines. Al momento, lo staff continuerà ad operare da Tunisi. “A causa delle violenze in corso in Libia dovute agli scontri tra le milizie vicino alla nostra ambasciata, abbiamo temporaneamente spostato il personale fuori dal Paese”, ha detto Harf. Non è dato sapere per quanto tempo l’ambasciata rimarrà chiusa.
Appello agli americani: “Non andate in Libia. Se ci siete, andatevene” – “La sicurezza deve venire per prima. Abbiamo dovuto prendere questa misura perché la nostra ambasciata si trova molto vicina ai violenti scontri tra le fazioni armate libiche”, ha proseguito. L’annuncio è stato accompagnato da un nuovo avviso del dipartimento di Stato, che chiede agli statunitensi di non andare in Libia e raccomanda a quanti già vi si trovino di lasciarlo subito. Secondo il segretario di Stato John Kerry, l’evacuazione dell’ambasciata Usa in Libia è dovuta a un “rischio reale” per il personale della sede diplomatica.
Nel 2012: ucciso l’ambasciatore Usa a Bengasi – Già a settembre 2012, la sede diplomatica degli Stati Uniti a Bengasi era stata attaccata; tra le vittime, l’ambasciatore americano in Libia Chris Stevens, insieme a un altro funzionario dell’intelligence Usa e due marines. L’attacco, inizialmente attribuito alle proteste contro il film statunitense sulla vita di Maometto L’innocenza dell’Islam, che secondo le cronache di Al Jazeera aveva portato ad almeno 10 le vittime tra Sudan, Yemen, Libano, Tunisia ed Egitto, e all’attacco delle rispettiva ambasciate Usa. Secondo fonti americane, l’attacco alla sede diplomatica Usa a Bengasi era un attacco “pianificato”, mentre Siti vicini ad Al Qaeda avevano sostenuto che l’assassinio di Stevens fosse “una reazione della milizia Ansar Al-Sharia alla conferma della morte di Abu al-Libi”, numero due di Al Qaeda.
Le colpe di Obama – Il presidente Barack Obama aveva condannato “l’attacco scellerato“, promettendo più sicurezza per gli americani impegnati nelle missioni diplomatiche. Tre mesi dopo la morte dell’ambasciatore, la Commissione indipendente voluta da Hillary Clinton aveva definito gli “errori” che portarono alla morte del console come “problemi sistemici. L’indagine aveva evidenziato come il Dipartimento di Stato ignorò le richieste dell’ambasciata a Tripoli di inviare più guardie a protezione della rappresentanza diplomatica. Richieste in parte fatte anche dallo stesso ambasciatore poi rimasto ucciso. Dal canto loro i servizi d’informazione tralasciarono le analisi sul deteriorarsi delle condizioni generali di sicurezza nel Paese. Del resto, non sono solo gli americani, né solo le ambasciate occidentali, ad aver lasciato Tripoli (e Bengasi) negli ultimi mesi, ma anche paesi come Arabia Saudita e Algeria.
La contesa dell’aeroporto di Tripoli – La sanguinosa prova di forza tra le diverse milizie che si contendono l’aeroporto di Tripoli dal 13 luglio non si ferma, neanche dopo 47 morti e 120 feriti. Ad affrontarsi sono gli ex ribelli di Misurata che tentano di spodestare gli ex alleati anti-Gheddafi di Zintan dallo scalo internazionale che controllano dalla caduta del regime nel 2011. Gli Zintani, accusati dai rivali di avere tra le loro fila combattenti e generali dell’esercito del Colonnello, vengono ritenuti il braccio armato del movimento liberale che, secondo alcuni deputati, avrebbe ottenuto più seggi degli islamisti alle elezioni del 25 giugno per il nuovo parlamento.
L’insediamento della nuova Camera dei rappresentanti in un clima di tensioni – Il passaggio dei poteri dal Congresso Generale Nazionale libico (Gnc), il parlamento uscente, alla nuova Camera dei rappresentanti è previsto il prossimo 4 agosto, in un clima di tensione che ha impedito alle autorità anche di svelare il luogo della cerimonia e della prima seduta. Il governo ad interim ha lanciato ieri un ennesimo appello a fermare i combattimenti e a evitare “il crollo dello Stato”. Ma la Libia appare già da tempo sull’orlo del baratro, baratro da cui anche gli americani oggi si sono voluti allontanare.
Escalation di violenze – Dopo l’attacco del 2012, non sono mancati successivi momenti di tensione nelle sedi diplomatiche su territorio libico. Ad aprile due feriti davanti all’ambasciata francese di Tripoli, mentre nell’agosto 2013 il Dipartimento di Stato americano aveva deciso di sospendere diverse sedi in Medio Oriente per problemi di sicurezza, tra cui Tripoli in Libia. A fine maggio 2014, una delle ultime vittime con eco internazionale nella guerra tra bande di jihadisti e miliziani era stata Nassib Karnafa, popolare reporter televisiva, che è stata sgozzata nel sud della Libia. Era stata rapita qualche giorno prima nella regione di Sabah, 600 chilometri a sud di Tripoli, ed è stata ritrovata con la gola tagliata: sanguinaria consuetudine degli assassini qaedistiche suona anche come messaggio sinistramente simbolico per chi è giornalista e donna.
Da Bruxelles: “Stop alle violenze”
Un appello a tutte le parti in causa affinché cessino al più presto gli atti di violenza e i combattimenti che stanno rendendo sempre più critica la situazione in Libia è stato lanciato oggi con un comunicato diffuso dopo una riunione a cui hanno partecipato “inviati speciali” delle diplomazie di Usa, Ue, Italia, Malta, Spagna, Gran Bretagna Francia, Germania e Lega Araba.