C’è qualcosa di stregato in questa deriva che si porta via il paese. Condannato da anni alla schizofrenia che lo sta mandando a fondo: problemi immensi (o piccoli) che lo zavorrano ogni giorno, e un Parlamento che sfacciatamente discute sempre di altro, che eleva a questioni di vita o di morte, e dà scadenze, e lavora in agosto e sfida la Costituzione, su urgenze partorite solo dentro i palazzi della politica, si tratti delle leggi per Previti e Berlusconi, dell’indulto o di questa “riforma” del Senato. Una specie di maledizione. Che ricadrà su tutti, anche sui potenti di turno, come è sempre successo. La domanda regina è semplice: può un Parlamento eletto con una legge incostituzionale rifare la Costituzione a colpi di scimitarra? Un tempo qualunque parlamentare avrebbe risposto di no. Per ragioni intuitive, non c’era bisogno che avesse studiato. Glielo insegnava un’etica elementare. Oggi dicono di sì e lo stanno facendo in centinaia. E d’altra parte quella stessa legge (che si ostinano a chiamare la porcata Calderoli) l’hanno usata loro e la difendono loro. Classe politica ringiovanita e con tante più donne, ma figlia di una medesima cultura: il partito prima delle istituzioni, il leader prima del partito (saltando senza sosta da una corrente all’altra), la propria ricandidatura prima di tutto. Il resto è recita, un po’ dramma un po’ commedia. Circondato da silenzi che fanno male.
Velocità, si dice giustamente. Ma chiunque abbia avuto esperienza di Camera o Senato (e purtroppo il capo del governo non ne ha) sa perché i lavori parlamentari sono così lenti. Sa che non c’è bisogno di stracciare la Costituzione. Che in fondo basta, meno gloriosamente ma più seriamente, rifare i regolamenti delle Camere, magari stabilendo che sulle leggi giunte dall’altro ramo del Parlamento scatti il silenzio-assenso dopo tre mesi, così che nulla possa essere insabbiato o infilato nel mercimonio politico. Sa che occorre soprattutto intervenire sulla dannazione dei decreti attuativi, vera palude in cui tutto affonda o si snatura. O stabilire che certe materie vengano trattate solo dalle commissioni in sede deliberante. E poi, e anzi in primo luogo, sa che bisogna fare lavorare di più i parlamentari. Certo che si è lenti se si lavora due giorni e mezzo a settimana. Una cosa scandalosa, visto che con le liste bloccate non c’è nemmeno l’alibi dei rapporti da tenere con il celebre “collegio”.
Quale azienda, quale università, quale ospedale potrebbe realizzare i suoi programmi lavorando a mezzo tempo? E se lavorasse due giorni e mezzo, potrebbe mai scaricare la colpa dei propri ritardi sullo Statuto o sulla Carta dei princìpi? L’idea, poi, che si possa rifare o liquidare il Senato senza avere alle spalle una dottrina o un pensiero, senza che la discussione sia mai andata oltre le insegne luminose (il “Senato delle regioni”: e poi?), condanna a imitare la Lega del “federalismo”: parola magica che ha bloccato il dibattito politico italiano per ritrovarsi vent’anni dopo con i comuni strangolati dai governi centrali. Altro invece ha indubbiamente senso. Può essere una felice idea attribuire il voto di fiducia alla sola Camera, visti i precedenti. E potrebbe anche essere esplorata la proposta della senatrice a vita Elena Cattaneo: un “senato delle competenze”, una Camera “Alta” per superiore patrimonio collettivo di conoscenze scientifiche e professionali. Sarebbe un ottimo antidoto alla demagogia.
Il vero fatto è che l’Italia (il patto del Nazareno è cosa diversa) non ha bisogno di queste riforme pirotecniche. Ha bisogno di un politico-chirurgo. Che con cento piccoli interventi legislativi inseriti scientificamente nel suo immenso apparato di norme la metta in grado di funzionare: dal fisco alla pubblica amministrazione. Aggiungere una parola, togliere una parola. Ascoltando, studiando. Chi è stato in Parlamento sa il valore di un inciso o di una omissione, per esempio (guarda un po’…) l’esclusione delle imprese di movimento terra dai controlli antimafia. Sopprimere il controllo di una Camera dopo lo svarione preso con la responsabilità civile dei magistrati (“rimedieremo in Senato”, si è detto subito…), esprime l’idea non di una democrazia veloce, ma di una democrazia sbrigativa, la stessa che sta dietro la scelta di abolire i segretari comunali. Una camera di infallibili, soprattutto con liste inzeppate di cortigiani di corrente o amicizie personali, non è all’orizzonte. Meglio tutelarsi. Per rimediare alle distrazioni, all’incultura o alle assenze nei due giorni e mezzo di lavoro.
Il Fatto Quotidiano, 26 luglio 2014