Blustar Tv dà il benservito al cronista protagonista di un celebre scontro con il "pr" del gruppo siderurgico e poi deriso da Vendola in una telefonata pubblicata da ilfatto.it. Ad aprile lo scontro in diretta con il deputato Pd Pelillo: "Parlerò con il suo editore"
Il video che mostrava quel microfono strappato per fermare la domanda scomoda ha fatto il giro del web in pochi minuti. E così è divenuto famoso anche il nome del giornalista che chiedeva conto al patron dell’Ilva Emilio Riva dell’ottimistica interpretazione dei dati sulla qualità dell’aria di Taranto a fronte di un tasso di mortalità sempre crescente.
Anche perché, quel nome, è finito al centro di una telefonata, intercettata e svelata lo scorso novembre da ilfattoquotidiano.it, tra il governatore Nichi Vendola e il braccio destro della famiglia Riva, Girolamo Archinà, artefice dello “scatto felino” con il quale ha afferrato il microfono.
Oggi, a distanza di otto mesi da quell’episodio, di Luigi Abbate si torna a parlare. L’emittente per la quale lavorava lo ha licenziato. Di punto in bianco. Crisi del settore? Si, ma non solo questo. Perché in città la verità sussurrata, e a volte detta a voce appena più alta di una confidenza, è anche un’altra. Abbate è stato licenziato perché ritenuto scomodo dalla politica.
Questi i fatti: un anno fa la televisione privata Blustar avvia la procedura di mobilità. Motivazione: l’Ilva ha chiuso i rubinetti, cancellando lo stanziamento annuale di 100mila euro in favore dell’emittente. L’effetto immediato è il crollo dell’equilibrio finanziario della tv – già provato dalla crisi che ha investito l’intero settore – e via alla mobilità. Fuori in cinque. Una di questi, però, impugna il licenziamento per mancato rispetto delle quote rosa tra i “superstiti”. E ha ragione, reintegro immediato. A quel punto l’azienda dispone il turn over. Dentro di nuovo la dipendente, fuori Abbate.
“La legge prevede la possibilità di fare questo, ma non è un obbligo. Si può anche non fare – chiarisce il diretto interessato – e poi perché io?”. Appunto, perché lui? “Mi viene il dubbio di essere scomodo a qualcuno. Me lo chiedo. Sono scomodo alla grande industria? Sono scomodo a qualche politico? Voglio la verità”.
Politica e industria. Il presunto patto d’acciaio che a Taranto ha defenestrato la classe dirigente provinciale. Abbate non si sbilancia, per ora non può. Al suo posto, però, intervengono in tanti. A cominciare da Assostampa Puglia, il sindacato dei giornalisti, che annuncia battaglia. “Non ci sono licenziamenti di serie A e di serie B a seconda delle convenienze politiche del momento – scrive il presidente Raffaele Lorusso -, è evidente che i rapporti tra grande industria e informazione a Taranto, sono ancora inquinati”.
Angelo Bonelli, leader dei Verdi, incalza, centrando il cuore del pensiero comune. “A me viene più che un dubbio sul fatto che ci sia una pressione politica dietro questa scelta. Ci sono state pressioni da parte di qualcuno? Era un giornalista scomodo da eliminare? Attendiamo che sia la proprietà di Blustar a rispondere”.
Risposta che è arrivata a stretto giro, rigettando le accuse “infondate e pervase di dietrologia”. “Nessuna persecuzione – chiarisce Blustar – ma solo l’applicazione della sentenza del Tribunale del Lavoro di Taranto che ha reintegrato, nel luglio 2014, un’altra giornalista costringendo al licenziamento di chi aveva i requisiti stabiliti dalla legge 223/91”. E ad averli era proprio Abbate.
Ma tanto non è bastato. La teoria di Bonelli è avvalorata da Alessandro Marescotti, presidente di Peacelink. “Abbate è scomodo alla politica perché mostrava l’esistenza di due verità. Da una parte quella sostenuta da noi che, con le nostre ecosentinelle pronte a fotografare i fumi dei camini, con i nostri analizzatori, pari a quelli dell’Arpa Puglia, dimostravamo che le emissioni, fuori controllo, contengono cancerogeni. Dall’altra quella dei politici che davanti a quei dati non battevano ciglio”.
Nessun nome. Ma negli stessi minuti, l’associazione ambientalista, pubblica un video su Youtube. È la puntata del 30 maggio della trasmissione condotta da Abbate, ospiti in studio i parlamentari Gianfranco Chiarelli e Michele Pelillo. La discussione si incentra, ancora una volta, sul decreto Ilva allo studio del Parlamento e sui dati forniti dalle associazioni e ritenuti poco attendibili. Quando il conduttore decide di far intervenire in diretta telefonica il presidente del Fondo Antidiossina Onlus Fabio Matacchiera, Pelillo sbotta: “L’editore lo sa? Domani parlerò con l’editore. Voglio sapere se anche lui è d’accordo”. La discussione la conclude Abbate: “Siamo una televisione libera. Il Pd nella campagna elettorale ha fatto figli e figliastri, forse non siamo nelle vostre grazie e per questo diamo fastidio”. Il deputato democratico raggiunto dalla redazione de ilfattoquotidiano.it non intende rilasciare dichiarazioni a riguardo.
Stando a voci bene informate, sarebbe arrivato sulle scrivanie dei magistrati tarantini del materiale a sostegno della tesi delle pressioni politiche. Starà a loro, ora, stabilire la verità. Intanto, il telefono di Luigi Abbate scotta. Sono in tanti a manifestargli, in queste ore, solidarietà. Tra questi nessun politico.