“Non è un sogno, l’ho vinto per davvero”, alla fine Vincenzo Nibali si lascia andare, dopo aver concluso quella che avrebbe dovuto essere la tappa decisiva per l’assegnazione della maglia gialla, cinquantaquattro chilometri di corsa contro il tempo da Bergerac a Périgueux, alla vigilia della “passarella” sugli Champs Elysées della Ville Lumière. Ha gli occhi lucidi, fatica e commozione e l’idea che il tuo sogno è diventato concreto gli pare “irreale” perché, “non è stato per niente facile arrivare fin qui”, adesso il suo pensiero è a Parigi, a una domenica di gloria, “una giornata da pelle d’oca”.
Ha vinto il Tour con un dorsale – il numero 41 – col quale nessuno aveva mai vinto prima, e sono piccole cose che contano, nella leggenda delle due ruote. E non importa se ancora una volta il più prestigioso dei giornali francesi – un Le Monde che fin dall’inizio di questo Tour è stato ostile nei confronti del corridore messinese – insiste nel rovesciare il veleno del sospetto, attaccando pesantemente l’Astana, la squadra kazaka che ha ingaggiato sontuosamente Nibali, per via del suo passato sulfureo, “ancora ben presente” che ricorda “le ore oscure del ciclismo”. Le Monde imbraccia l’artiglieria pesante, addirittura con due pagine, una delle quali dedicata a ricostruire l’organigramma del team composta da personaggi che sono stati implicati in casi di doping. L’altra, in cui si dubita delle prestazioni di Nibali, ultimo “surhumain” coi suoi 417 watt medi di potenza erogata nelle grandi salite di quest’anno.
Tutte cose di un ciclismo che non è il mio e che non è più quello di oggi, ha sempre risposto Nibali, “molti errori sono stati fatti ma essi appartengono al passato”, a una storia che non è la sua, poiché Vincenzo si considera “portabandiera della lotta contro il doping”. Nibali ha vinto la sua prima tappa domenica 6 luglio, a Sheffield, giorno in cui è stato sottoposto ai controlli obbligatori per il vincitore e il primo in classifica. Sono trascorsi venti giorni. In genere ci vogliono due settimane per conoscere gli esiti dei prelievi per l’antidoping, anche di meno. Ci fosse stato qualcosa, sarebbe trapelata. Inoltre, da tempo l’Astana è sotto sorveglianza, diciamo così, “speciale” da parte della “cellule dopage” dell’Ufficio Centrale Oclaesp (Office central de lutte contre les atteintes à l’environnement et à la santé publique). Il pregiudizio dei francesi è che il lupo perde il pelo, non il vizio.
Ho scritto questo per dovere di cronaca. Il Tour de France è stato bersagliato di scandali da sempre, fin da quando il povero Tom Simpson morì il 13 luglio del 1967 sul Mont Ventoux, ucciso dalla fatica e da un miscuglio di anfetamine che l’inglese aveva assunto per migliorare le proprie prestazioni, come appurò l’autopsia. Nel 1998 Marco Pantani vinse il Tour dell’affare Festina, squadra di dopati espulsa dalla corsa. L’inchiesta e il processo che ne seguirono fecero tanto scalpore perché rivelarono che il doping era organizzato su larga scala all’interno del plotone. Il governo francese ha preteso pugno di ferro contro i corridori che baravano. Da allora, si sono disputati sedici Tour, compreso questo del 2014: Lance Armstrong ha visto cancellate le sette vittorie che aveva ottenuto dal 1999 al 2005, Alberto Contador quello del 2010. Cioè la metà dei Tour post Festina è stata vinta con l’inganno. In prima fila nella guerra al doping, Le Monde ha talvolta segnalato certi “trattamenti di favore” a proposito di controlli a sorpresa: il 5 ottobre del 2009 fece uno scoop, pubblicò un rapporto dell’Agenzia francese della lotta contro il doping, in cui si citava in questo senso il caso della squadra che aveva vinto il Tour, criticando l’atteggiamento benevolo dell’Unione Ciclistica Internazionale.
Nibali nei giorni scorsi ha ribadito che “il passato è passato” e che c’è un altro ciclismo, “le mie non sono prestazioni mostruose. Quello che è importante è che alla fine il Tour risulti pulito”, ed in effetti sinora non abbiamo notizie di positività. Si faccia coraggio, Nibali: la cattiva coscienza del ciclismo lo perseguiterà, come la diffidenza e gli strali di chi ha perso la vetrina d’oro del Tour. Oggi come oggi Nibali vale solo d’ingaggio quattro milioni di Euro l’anno, che con gli sponsor possono diventare almeno sei. Come lui, guadagnano solo altri tre corridori: Christopher Froome, Alberto Contador e Mark Cavendish. La vittoria del Tour vale un premio dell’Astana di un milione di Euro, la tradizione impone che il capitano versi ai compagni del Tour i suoi premi, una cifra che supera il mezzo milione (511950 Euro, tra cachet della vittoria, piazzamenti e classifiche varie).
Ah, già. Dimenticavo il menu di giornata. Tanto per pareggiare un poco i conti, segnalo io che gli organizzatori hanno…dopato la cartina planimetrica della non più temutissima tappa a cronometro da Bergerac a Périgueux di cinquantaquattro chilometri, rendendola più difficile di quel che non era. Le salite, infatti si sono rivelate dei modesti saliscendi, salvo l’ultimo strappetto giusto prima dell’arrivo. Nelle loro intenzioni, questa avrebbe dovuto essere la tappa decisiva per l’assegnazione della maglia gialla. Ma la maglia gialla di Nibali era fuori discussione: il messinese aveva sugli avversari un vantaggio omerico, ciclisticamente parlando, di oltre sette minuti. Non solo, onorando la maglia lo Squalo dello Stretto ha corso un’ottima crono: è stato il migliore degli uomini di classifica, battuto solo da tre grossi specialisti come il campione francese a cronometro Samuel Dumoulin e il campione ceco Jan Barta, giungendo quarto ed incrementando il suo vantaggio, portandolo a quasi otto minuti (7’52”) sul secondo, 8’24” sul terzo, 9’55” su Alejandro Valverde (in crisi anche oggi) e sull’americanino Tejay Van Garderen che ha recuperato una posizione a scapito di Romain Bardet.
Lo spettacolo, e le emozioni, comunque, ci sono state lo stesso. Anzi, direi che ancora una volta il Tour ha raccontato una bella pagina di sport. E un sogno. In palio, due francesi si disputavano il secondo e il terzo posto, distanziati da una manciata di secondi. Uno, Thibaut Pinot, il più giovane, appena 24 anni, alto un metro e 80, grande promessa, bravo in salita. L’altro, Jean-Christophe Péraud, 37 anni suonati, ingegnere elettronucleare che lavora all’Areva di Tolosa, taglia da scalatore, grinta incredibile. I due del podio hanno ingaggiato una battaglia all’ultima pedalata (e all’ultima foratura). L’ha spuntata il più vecchio. Péraud ha avuto un pianto liberatorio come non si vedevano da anni, quattro anni fa era uno specialista di mountain bike (medaglia d’arfgento ai Giochi di Pechino del 2008) oggi è su un podio che sarà ricordato (dai francesi di sicuro: è da trent’anni che non ci salivano in due).Immaginatevi al posto suo.
Quanto al vincitore di tappa, il nome era già noto a tutti: il campione del mondo Tony Martin, il tedescone dell’Omega Pharma-Quick Step che aveva già vinto a Mulhouse. Ha stracciato gli altri 163 sopravvissuti. Lui è il Nibali di pianura. L’ultimo di questo Tour merita stima e simpatia, è il molto onolevole Ji Ching, che l’anno scorso al Giro d’Italia fu costretto al ritiro mentre qui ha tenuto duro ogni giorno. Ha accumulato un bel distacco, sta a cinque ore 53 minuti e 23 secondi da Nibali. Come dire, che Nibali ha concluso la ventesima tappa, mentre lui è ancora tra la diciottesima e la diciannovesima.
Un elogio a Daniel Oss: il trentino è arrivato decimo. Dulcis in fundo, una bella notizia che rende ancor più “italiano” questo Tour de France. Il friulano Alessandro de Marchi è stato proclamato “supercombattivo” del Tour de France 2014, ed è un riconoscimento prestigioso, perché valorizza i corridori che hanno attaccato di più e hanno movimentato le fughe della corsa. Il ciclista della Cannondale (forse futuro coéquipier di Nibali) aveva già ottenuto in due tappe questo ambito riconoscimento (che “vale” pure un assegno di 20mila Euro). Nella votazione della giuria ha preceduto il francese Cyril Gautier (Europcar). Gli altri in lizza erano Blel Kadri (AG2R), vincitore della tappa di Gérardmer La Mauselaine, Tony Martin e il campione svizzero Martin Elmiger che è stato sfortunato protagonista di tante fughe.