L’Appia antica è un museo a cielo aperto, ricco di bellezze storiche che fioccano ad ogni miglio della più lunga e regale via di Roma. Ma è anche il luogo del degrado, del trionfo dell’abusivismo, dell’inciviltà denunciata già dagli anni ’50 dal giornalista Antonio Cederna. Oggi via Appia è un circuito a cielo aperto, dove si va in auto ad alta velocità, ignorando il paesaggio e spesso i pochi turisti che si avventurano in bici. Gli archeologi parlano di importanti tesori seppelliti sotto costruzioni abusive, di scavi più belli di Pompei. Inoltre sono tanti i monumenti tenuti in ostaggio all’interno di ville private che si ergono lungo la via e sopra le mure a rischio crollo. “L’Appia è una ferita lunga da rimarginare – afferma Rita Paris della Soprintendenza speciale ai beni archeologici che ci accompagna in questo viaggio – ma mantiene ancora il suo fascino”. “Non serve creare musei virtuali o attrazioni particolari, bisogna prendersi cura dei bellissimi monumenti cha abbiamo intorno, curarli e valorizzarli” aggiunge la soprintendente. Negli ultimi anni lo Stato ha acquistato proprietà private, realizzato scavi, restaurato monumenti, ha aperto luoghi archeologici importanti come la mole di Cecilia Metella o il museo di Capo di Bove. Servono servizi, mezzi pubblici, percorsi meditati, punti di ristoro degni del luogo. Qui arriva un solo autobus, il 660, la cui fermata è stata spostata di recente a chilometri di distanza dalle Catacombe di Sebastiano, uno dei principali siti storici del luogo. Aprono bar e locali abusivi. Come soluzione a tutti i mali arriva il privato interessato a finanziare dei progetti all’Ente parco regionale. Si fa il nome di Autostrade. Ma il soccorso privato è inevitabile? di Irene Buscemi
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