Un filo rosso a sei zeri che dalla Sicilia di Salvatore Cuffaro, passava da Milano per finire direttamente in Giappone nella sede della banca d’investimenti Nomura. Un filo rosso che oggi è al centro dell’inchiesta del nucleo di Polizia tributaria della Guardia di Finanza: sotto sequestro sono finiti 104 milioni di euro, denaro sigillato dai conti della Nomura, e da quelli di Marcello Massinelli e Fulvio Reina, intermediari di un affare che per gli inquirenti era in realtà una mega truffa ai danni della Regione Siciliana.
È un’inchiesta complessa quella che sta conducendo la procura di Palermo, un’inchiesta che grazie alle rogatorie internazionali (dalla Svizzera alle Isole Vergini), alle intercettazioni telefoniche e perfino all’ausilio di un collaboratore di giustizia, ricostruisce un lustro di movimenti finanziari della Regione Siciliana guidata da Totò Cuffaro. Tutto ha inizio nel 2003, quando un esposto anonimo, spedito alla procura di Milano, segnala i guadagni spropositati della Nomura, con annessi fondi milionari transitati in conti offshore.
I magistrati ambrosiani iniziano ad indagare. E scoprono che la banca nipponica, poi finita al centro delle cronache per l’affare dei derivati che affossò la Monte Paschi di Siena, ha da poco intrapreso un rapporto finanziario con la Regione Siciliana. A Palermo sono i giorni della cosiddetta “finanza creativa di Totò”: in realtà, per gli inquirenti , un ruolo fondamentale lo giocano Massinelli e Riina, titolari della Lm Consulting e consulenti di Cuffaro, oggi indagati per truffa aggravata.
L’affare tra Sicilia e Nomura è semplice: nel 2003 la aziende sanitarie dell’isola vendono i loro crediti nei confronti della Regione Siciliana ad una società veicolo: la Crediti Sanitari Regione Sicilia di Milano, che in realtà farebbe capo alla sede londinese di Nomura. Solo che nel contratto stipulato la Regione si impegna a pagare un tasso d’interesse molto più alto rispetto a quello previsto dal mercato: tutto guadagno per la Nomura a carico delle casse siciliane. Per pagare i debiti che aveva nei confronti delle aziende sanitarie, al governatore Cuffaro sarebbe convenuto chiedere un prestito alla Cassa Depositi e Prestiti: così non è stato, e il danno per le casse della Regione è oggi quantificato in 175 milioni di euro.
“Se si fosse acceso un normale mutuo con la Cassa depositi e prestiti per ripianare i debiti della Regione verso le aziende sanitarie siciliane il costo dell’operazione sarebbe stato, come abbiamo accertato di 105 milioni di euro. Alla fine con quanto messo in piedi da intermediari e dalla banca giapponese il valore dell’operazione è stato di 226 milioni di euro. La differenza è stata tutta a carico della Regione”, spiega oggi Francesco Mazzotta, comandante del nucleo polizia tributaria della Guardia di Finanza.
Dopo i primi accertamenti, il procuratore aggiunto di Milano Alfredo Robledo invia i faldoni dell’inchiesta al collega siciliano Leonardo Agueci che, con i sostituti Sergio Demontis e Daniele Paci, continua ad indagare sulle connessioni tra Regione e Nomura. Nel registro degli indagati finiscono il presidente del Consorzio Aziende Sanitarie Siciliane Marco Modica De Mohac e i manager della sede londinese di Nomura Armando Vallini, Andrea Giordani, Stefano Ghersi e Arturo De Visdomini. La vicenda però non è finita qui. Si scopre, per esempio, che il filo rosso tra il Giappone e Palermo non si ferma al 2003, ma continua almeno fino al 2009.
Per ristrutturare il debito regionale, la Sicilia firma infatti tre contratti, aventi per oggetto strumenti finanziari derivati, con Nomura, che nella stessa operazione è sia advisor (ovvero consulente) che controparte contrattuale della Regione: quell’operazione causa un danno alle casse di Palazzo d’Orleans per altri sessanta milioni di euro. È qui che gli inquirenti palermitani ipotizzano un giro di tangenti per agevolare i rapporti tra i vertici della Regione Siciliana e la banca d’investimenti nipponica. Gli investigatori sarebbero giunti ad individuare due conti a Lugano, entrambi intestati a Massinelli e Reina, dove i due consulenti avrebbero dirottato le provvigioni ottenute dopo essere riusciti a far promuovere Nomura come advisor della Regione Siciliana.
L’inchiesta però è tutt’altro che chiusa: “Ci siamo posti il problema se la Regione è solo parte offesa o se ci siano comportamenti non lineari da parte di chi avrebbe dovuto vigilare, mostrare attenzione e respingere questo tipo di comportamenti e non lo ha fatto”, dice il procuratore capo di Palermo Francesco Messinero. Gli inquirenti insomma adesso scavano sulla parte politica corrotta nell’affare, a cominciare dallo stesso Cuffaro: l’ipotesi è che l’ex governatore abbia ricevuto somme di denaro dopo aver accettato di stringere l’accordo con Nomura. Un anno e mezzo fa i pm Paci e Demontis sono andati ad interrogarlo nel carcere di Rebibbia, dove sta scontando la condanna a sette anni di carcere per favoreggiamento alla mafia. Durante l’interrogatorio Cuffaro ha declinato ogni responsabilità. Agli atti dell’inchiesta, però, oggi ci sono anche diverse intercettazioni telefoniche che, unite alle rogatorie internazionali, allargano il quadro dell’indagine. Sul fondo si fa sempre più lunga l’ombra della corruzione a suon di mazzette.