La circostanza straordinaria è la presidenza del semestre a guida italiana dell’Unione Europea. E qui purtroppo l’errore dei genitori di Renzi (che gli hanno fatto credere di essere sempre e subito, e prima di ogni prova, e nonostante i rischi umani, quello più bravo, più giovane, più svelto e senza paragoni) si ripete con le Istituzioni della Repubblica. Annunciano e celebrano il semestre italiano non come una routine che, prima di noi, è toccata a tutti, anche a Cipro. Ma come l’evento fondativo di una nuova Italia, un misto di 25 aprile e di 2 giugno, da rivivere con il volto proteso al nuovo. Il fatto è che i colleghi europei non si sono accorti della circostanza straordinaria, si sono irritati per il clima di concitazione, che invece sconvolge l’Italia, e, come prima cosa, hanno fermato il nuovo venuto alla dogana dei dati economici e dei numeri, forse veri e forse no. E gli hanno sequestrato (temporaneamente, s’intende) la nomina della Mogherini a ministro degli Esteri europeo, nomina che Renzi aveva fatto e annunciato da solo, pensando che lui è presidente d’Europa, primo ministro d’Italia, ma è soprattutto Matteo Renzi, e gli altri no.
E così il semestre italiano, atteso come “la svolta”, è cominciato con un broncio fra Italia-Renzi da un lato ed Europa poco incantata dall’altro, un broncio che durerà ancora, rovinando un po’ il famoso semestre. E allora il premier alfa sfoga l’energia, bloccata dall’Europa, contro i senatori italiani che si oppongono al suicidio e sono allarmati da alcuni problemi istituzionali legati a quel suicidio. A Renzi preme tornare in Europa e a ciò che gli resta (ferie incluse) del semestre italiano, con lo scalpo del Senato morto, per dimostrare che, dove comanda Renzi, Renzi lo devi prendere sul serio (la terza persona è un suo tic).
Nessuno sa perché una simile storia sia cara anche al Quirinale, ma dobbiamo farcene una ragione. Senza avercelo mai spiegato, il Quirinale tiene moltissimo a sgombrare dalla scena il Senato (nel senso di Camera vera, eletta, con le normali prerogative). Forse un modo simbolico e indiretto di concedere la grazia al pregiudicato. Resta da interpretare la politica estera, ovvero Matteo Renzi verso il resto del mondo. Renzi fa molti viaggi, ciascuno di pochi giorni, vede molti leader, mai incontrati prima, si trattiene con ciascuno per tempi brevissimi (la velocità per lui è irresistibile), non da segni di occuparsi di una questione specifica e studiata, come la pace, la guerra, le malattie contagiose, le minoranze, i diritti umani, l’evolversi minaccioso di eventi come il Medio Oriente, la Siria, il Califfato, l’Iraq che salta in aria, tale e quale come Gaza (centinaia di morti al giorno), le dure e tragiche contrapposizioni religiose. Visita l’Africa o l’Asia come Disneyland, giusto per dare il tempo a persone d’affari, che fa viaggiare con lui, di stabilire contatti o di siglare contratti (ma sono sempre le stesse imprese, le stesse persone, che sono comunque già ben conosciute sul posto).
Tutti i brevi incontri ricordano l’immagine del Reagan di cartone che i fan di quel presidente avevano piazzato per le strade d’America negli anni Ottanta. In tanti andavano a farsi fotografare accanto al leader di cartone che – nelle polaroid di allora – sembrava vero. Di tanto in tanto stringe il cuore vedere la Mogherini seduta composta accanto al rappresentante di un pauroso focolaio di guerra e di violenza del mondo. Lei è il ministro degli Esteri italiano e l’Italia è un Paese che avrebbe un ruolo. Ma quel ruolo non spetta alla Mogherini e l’Europa ha già preso nota. Lei (non è certo una sua colpa) non ha niente da dire e niente da riferire, perché, per una strana decisione (che risale a molto prima di Renzi ma che Renzi conferma) l’Italia ha già deciso tutto.
Le forniture energetiche portano alla Russia, e a molta benevolenza e distrazione per il sanguinoso caos libico. Il grosso degli altri rapporti porta agli Stati arabi. La ormai celebrata soluzione del caso Alitalia (se ci sarà) conferma che, nella politica italiana, non ti azzardi mai a dare torto agli arabi (caso mai avessero torto), perché, come ha insegnato Andreotti, da certe buone e tolleranti amicizie si ricava sempre qualcosa. E adesso, benché non c’entri niente con niente, non ci resta che aspettare la tanto attesa eliminazione del Senato. E tornare ai giorni che restano di semestre europeo, in cui i nostri strani partner europei invece di feste e celebrazioni, vorrebbero vedere i conti.
il Fatto Quotidiano, 27 Luglio 2014