L’unico insegnamento di mio padre che sono riuscito – bene o male – a seguire da uomo adulto, è stato quello di raggiungere i miei obiettivi, sempre scegliendo il percorso più difficile, evitando scorciatoie, sotterfugi,
Tutto ciò mi ha creato non pochi problemi di autostima ed incidenti di percorso ma, ad oggi continuo a pensare che sia stata la strada più giusta. La società italiana odierna, evidentemente si basa su fondamenti opposti: ottenere tutto in fretta, evitando le asperità, considerando il fine ultimo l’unica ragione possibile. Come faccio io ad insegnare a mio figlio sedicenne il rispetto delle regole, l’attenzione verso le minoranze, l’accettazione degli errori degli altri, se la sua esistenza è immersa in una realtà che gli prova di continuo che chi ce la fa, chi vince ci riesce quasi sempre prevaricando il prossimo, che la trasparenza e l’onestà vengono sempre messe alla berlina in modi ed atteggiamenti spesso sguaiati, e cancellate dalla furbizia e dalla scaltrezza.
Pasolini diceva: “La vittoria è sempre di chi perde, la vittoria non è mai riconosciuta, la vittoria è inutile”. Posso ora io dire a mio figlio che l’importante è partecipare? Che questo è un paese di perdenti perché ricerchiamo continuamente la nostra vittoria sugli altri? Posso io parlargli di rispetto delle regole a scapito del risultato finale? Ebbene si! E’ quello che faccio ogni giorno, a volte inalberandomi, a volte rendendomi odioso per la veemenza con cui esprimo le mie convinzioni, ma sono contento di farlo! Sento di doverlo fare, e mi sforzo quotidianamente di trovare appigli che possano scuotere in lui, ed in chi ha la sua età, la voglia di distinguersi, di schierarsi con i perdenti, con quelli che come me e mio padre, pensano oggi più che mai, che non può esserci futuro se tutto è concentrato nel presente.
E’ un ragazzo dolce e intelligente, e quando qualche giorno fa mi ha espresso il desiderio un giorno, di poter imparare la lingua dei sordi, di sentire la curiosità di comprendere la loro condizione, ho letto con emozione nei suoi occhi, quella luce di gentilezza e di generosità, nella quale – per un attimo – ho riconosciuto mio padre e che ha riacceso in me un barlume di speranza e interesse nel risultato finale.