Voucher per comprare servizi alla persona, come baby sitter, colf, badanti: una proposta di legge bipartisan depositata alla Camera e al Senato propone – finalmente – l’”istituzione di voucher universali per i servizi alla persona e alla famiglia”. In pratica, se la legge passasse, le famiglie – per fare un esempio – continuerebbero sì a pagare di tasca propria tate, centri estivi e tutto ciò che ruota intorno alla cura dei bambini ma almeno potrebbero detrarre le spese (fino al 33%). Mentre le imprese che forniscono i servizi potrebbero usufruire degli sgravi previsti per le prestazioni di welfare aziendale o di altri tipi di agevolazioni fiscali.
Perché questa proposta è l’uovo di colombo e soprattutto perché sarebbe una legge di sinistra?
1) L’istituzione di voucher mette fine ad un’immensa ipocrisia nella quale siamo ormai immersi da decenni: quella di uno Stato incapace di fornire servizi adeguati e di un settore privato che supplisce nel silenzio e rimane infatti per questo del tutto confinato nel nero (immaginate solo l’esercito di baby sitter che lavora in Italia, si tratta di decine di migliaia di persone, per non parlare di badanti, ripetizioni private, domestiche e via dicendo). Permettere a cittadini e famiglie di detrarre queste spese enormi che lo Stato fa finta di non vedere consentirebbe di portare questa mole gigantesca di prestazioni alla luce del sole, riconoscendo al tempo stesso i costi che ormai ci tocca sostenere. Che almeno ci sia trasparenza su quello che lo Stato non fa.
2) Certo che lo Stato è colpevole di un welfare carente, che lascia scoperte fette sempre più larghe della popolazione con soglie di esenzione alle prestazioni spesso ridicole, costringendo le persone e le famiglie – accade sempre di più – a rinunciare alle visite mediche o in previsione a quell’assistenza che sarà sempre più necessaria e al tempo stesso inarrivabile (comincia a calare per la prima volta il numero delle badanti: con le future pensioni ormai sarà sempre più impossibile permettersi una cura ad personam come quella). In questo quadro tragico di welfare statale desaparecido, che almeno si mettano in condizioni i privati di lavorare meglio. Le piccole imprese di servizi non sono il demonio, al contrario ormai suppliscono a tutto ciò che Stato e Comuni non danno. Esasperarle non aiuta nessuno, in primo luogo le persone e le famiglie, perché quando lo Stato vessa le imprese i costi dei servizi privati automaticamente crescono e diventano a quel punto troppo esosi.
3) Inutile girarci intorno: i prossimi anni saranno sempre più caratterizzati da un’emergenza di richieste di cura e servizi e da una drammatica incapacità pubblica di fornirli. Tra patti di stabilità e fiscal compact, lo scenario sarà sempre uno scenario bellico, di guerra. E appunto: durante una battaglia, vi sognereste di dire “lo Stato dovrebbe?”. Piuttosto, in trincea si usa quello che c’è, come già di fatto oggi fanno le famiglie. Si ricorre al privato, perché il resto manca, tanto che il vero patto di solidarietà e di fiducia ormai non è più tra cittadini e Stato ma tra chi eroga un buon servizio cercando di non mettere prezzi impossibili e chi lo usa. Prendi una madre che trova un asilo privato sotto casa a un costo non di tanto superiore ai nidi pubblici, che ormai hanno rette impossibili, ammesso che si riesca ad entrare. Credetemi, quella madre sarà più grata a chi ha messo su quell’asilo che al Sindaco della sua città che ha deciso che suo figlio doveva restare fuori. D’altronde, aspettando che le liste di attese di estinguano, qual è l’alternativa? Se nel bisogno un privato offre un servizio intelligente lo si usa. È una scelta obbligata, né di destra né di sinistra, semplicemente di sopravvivenza.
Per questo oggi – nell’Italia della crisi – i voucher sono una cosa di sinistra, per quanto possa apparire il contrario. Ma proprio per questo non si faranno. Siamo ancora alla proposta di legge bipartisan, e alle riflessioni su quanto potrebbe costare (688 milioni a regime) che poco prendono in considerazione il beneficio in termini di aumento del Pil e occupazione – e diminuzione della disperazione sociale – che i voucher potrebbero portare. D’altronde, per ora le priorità del premier sembrano altre. Un premier – e un governo – che non paiono interessati alla questione cruciale del welfare. Né pubblico né privato.