Il ministro Beatrice Lorenzin ha deciso di provare a dare ai figli della fecondazione eterologa la possibilità di conoscere il nome e l’identità dei loro padri o delle loro madri naturali. Ma solo una volta compiuti i 25 anni di età. Questa è la principale novità del decreto anticipato ieri in Commissione Affari sociali alla Camera, che verrà presentato al Consiglio dei Ministri, prima della pausa estiva.

Nell’intervista al Fatto che l’ha incontrata ieri (martedì 29 luglio, ndr), il ministro Lorenzin spiega la logica di questa scelta: “Il principio al quale ci siamo attenuti è quello del diritto a conoscere la propria identità biologica che, dopo lunghe discussioni e liti giudiziarie, è stato riconosciuto in quasi tutti i Paesi più avanzati. Inoltre va osservato che la stessa sentenza 162 del 2014 della Consulta, dopo aver richiamato la disciplina sull’anonimato nella donazione di cellule e tessuti, fa un rinvio alla precedente giurisprudenza e a quella internazionale: in entrambe il diritto a conoscere le proprie origini trova sempre più spazio. Il diritto si esplica in due momenti: il primo è di essere informato di essere nato con l’eterologa, il secondo di poter conoscere la propria origine. Questo è il punto più controverso emerso dallo studio delle legislazioni europee che hanno cambiato la norma sulla base delle esperienze acquisite negli ultimi decenni. Mi rendo conto che ha profili non sanitari e ho sottoposto la questione in modo laico al parlamento per capire l’orientamento dei deputati”.

In un primo momento però i Paesi che avevano aperto alla fecondazione eterologa avevano stabilito il divieto di conoscere l’identità del donatore. Perché noi abbiamo scelto questa seconda strada?
Molti di quei Paesi hanno abbandonato la loro rigida impostazione iniziale perché sono stati gli stessi figli nati da fecondazione eterologa ad agire in giudizio per conoscere i propri genitori naturali. Ci sono associazioni di figli che erano nate per sostenere questo diritto e un movimento di opinione favorevole a eliminare questo muro che priva il figlio del diritto di conoscere i propri donatori.

Alcuni ritengono che così venga meno quell’elemento che dovrebbe separare il donatore dal figlio di una coppia di genitori a tutti gli effetti.Non pensa che questo punto solleverà polemiche?
Penso che la scelta fatta di permettere (a 25 anni) di conoscere il proprio genitore biologico, sia un compromesso equilibrato in una materia così delicata. Comunque questo è il testo del decreto che ho proposto ma che potrà essere modificato dal parlamento in sede di conversione.

Ma se scendiamo dai principi all’attuazione, cosa accadrà? Il ragazzo riceverà un foglio con cognome e data di nascita del proprio genitore biologico. A quel punto quali sono i suoi diritti? Potrà cercarlo?
La possibilità di risalire al proprio donatore , garantendo l’anonimato, è utile per esigenze mediche e sanitarie. In quel caso sarà il Servizio Sanitario Nazionale ad intervenire risalendo al donatore tramite il registro e non il singolo nato o un suo familiare, a tutela proprio dell’anonimato del donatore.

Quali saranno i doveri, invece, del genitore biologico da questo punto di vista?
Nessun obbligo, potrà negare la propria collaborazione, così come non ha diritti nemmeno doveri. In ogni caso, il limite massimo di età delle donatrici sarà di 35 anni e per gli uomini di 40.

Concretamente cosa potrà fare il figlio naturale? Cercare il genitore su google e andare a bussare all’indirizzo di casa trovato magari su internet?
Ovviamente qualora fosse possibile bisognerà trovare un modo che non scoraggi le donazioni e tuteli i nascituri, su questo potranno aiutarci le esperienze europee e comunque ci sono 25 anni di tempo. Fermo restando il diritto del donatore a rifiutare qualsiasi contatto con lui. Ma ripeto è una questione che non voglio imporre, ma sollevare la riflessione.

Il donatore o la donatrice avrà anche lui il diritto a sapere dove si trova e se esiste un suo figlio o più figli naturali?
No, non è previsto.

Ma vediamo il punto di vista dei genitori. Potranno chiedere, al momento della fecondazione, quali sono le caratteristiche del donatore?
Non potranno sapere nulla se non che il donatore è sano. E quindi non potranno scegliere, come accade in altri Paesi, le caratteristiche genetiche del nascituro.

Quindi non ci saranno limiti di alcun genere né dal punto di vista dei donatori né dal punto di vista della coppia che fa ricorso alla fecondazione eterologa? Per dirla con termini più brutali: una coppia potrebbe avere un figlio di colore diverso a sorpresa, anche se preferirebbe saperlo prima?
Quello che lei prefigura è esattamente quello che potrebbe accadere. La scelta fatta nel decreto è di impedire la possibilità di selezionare il colore della pelle del donatore e quindi del nascituro. È una scelta di tipo etico che lascerei discutere al parlamento, anche se profila svolte eugenetiche.

Però i genitori che volessero a tutti i costi un bimbo che abbia il loro stesso colore della pelle, potrebbero ricorre a donatori in paesi stranieri.
Siamo fuori dalla norma italiana.

Concretamente chi sarà il controllore della banca dati che permette di risalire ai genitori dei bambini nati dalla fecondazione eterologa?
L’istituto superiore della Sanità e il centro nazionale trapianti.

Le donatrici degli ovuli e i donatori del seme saranno agevolati economicamente?
Non ci sarà alcuna forma di retribuzione. Ovviamente avranno diritto a permessi lavorativi e non dovranno supportare spese mediche per questa loro scelta. Il modello è la donazione di midollo osseo.

Avete inserito il limite di 10 figli per ciascun donatore, perché?
Bisogna evitare che ci sia un numero eccessivo di figli dallo stesso donatore, riducendo così possibili unioni inconsapevoli fra nati da eterologa. C’è però un’eccezione per permettere a chi ha già un figlio nato dall’eterologa di scegliere il medesimo donatore per dare un fratellino al primogenito. Quindi massimo 10 famiglie.

Dove si potrà fare la fecondazione eterologa e quali garanzie ci saranno?
Nei centri accreditati, la fecondazione sarà a carico del servizio sanitario nazionale grazie all’inserimento della fecondazione eterologa nei livelli essenziali di assistenza (Lea), che garantiscono servizi a tutti i cittadini, indipendentemente dal reddito o residenza.

Il principio enunciato prima del diritto alla conoscenza della propria identità biologica pone dei quesiti anche nel caso dei due gemelli che nasceranno dallo scambio di provette all’ospedale Pertini. In quel caso concreto non pensa che ci sarebbe bisogno dell’intervento del legislatore per tutelare, a prescindere dalle aspirazioni dei genitori, i diritti dei due gemelli che stanno per nascere?
No, questo sarà compito del giudice che già è stato interessato del caso.

Quel caso, certo, non rassicura in vista dell’avvio della fecondazione eterologa in Italia. Non pensa che bisognerebbe rafforzare i controlli?
Penso proprio di si. Forse in passato c’era quasi il timore che io definirei ideologico a effettuare controlli nei centri che praticavano la fecondazione assistita come se l’obiettivo dei controlli non fosse il centro ma la fecondazione in sé. Ora dopo la sentenza della Consulta e dopo la regolamentazione che stiamo introducendo si apre una nuova fase e penso che i controlli debbano essere fatti severamente come in ogni settore.

Da Il Fatto Quotidiano del 30 luglio 2014

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