E’ una di quelle iniziative che, oltre a cambiare la vita di chi si aggiudicherà il premio, promuovono, nel mondo, lo sviluppo tecnologico e l’innovazione.
“Anyone in the world can apply (with a few exceptions—see T&Cs)” si legge sul sito dedicato al concorso, battezzato “littleboxchallenge”.
Chiunque al mondo, salvo poche eccezioni, può, dunque, giocarsi i suoi talenti ed aggiudicarsi il premio milionario.
Peccato, però, che se si clicca sul regolamento di concorso e si va a leggere l’elenco delle poche eccezioni si scopre che all’iniziativa non possono partecipare i residenti in Italia, Brasile, Quebec, Cuba, Iran, Siria, Nord Corea e Sudan.
Gli italiani, dunque, sono condannati a restare spettatori giacché l’unico modo per partecipare all’iniziativa sembra quello di unirsi alla nutrita schiera dei cervelli in fuga dal nostro Paese, stabilendo altrove – ovunque nel mondo – la propria residenza.
La notizia genera un moto di comprensibile rabbia, frustrazione e delusione che cresce a dismisura se solo ci si ricorda che sono anni che il nostro Paese continua ad essere escluso da analoghe competizioni.
L’ultima volta – almeno tra quelle note alle cronache – era successo una manciata di settimane fa e l’avevamo denunciata da queste stesse pagine, originando poi anche una petizione su change.org, firmata con Riccardo Luna e Massimo Banzi e promossa dalla fondazione Make in Italy il cui nome, oggi, stride prepotentemente, con il messaggio che, al contrario, si legge nel regolamento di Littleboxchallenge: Make out of italy!
Ma era già successo decine di volte in passato e succederà ancora se il Governo non prende atto di questa insostenibile situazione e non corre ai ripari aggiornando una volta per tutte la disciplina nazionale in materia di concorsi ed operazioni a premi e chiarendone fragorosamente termini e condizioni al mondo intero.
All’origine di questa come delle precedenti esclusioni, infatti, vi è la normativa italiana che regola la materia in modo tanto complesso e burocraticamente oneroso da suggerire agli organizzatori di tagliar fuori il nostro Paese da simili iniziative pur di non essere costretti a confrontarcisi.
Non è accettabile, però, che l’Italia – mentre prova a guardare con ottimismo al futuro ed all’innovazione – continui ad accettare questa autentica forma di ghettizzazione regolamentare e, anzi, ad auto-infliggersela anziché cambiare le regole ed ad adeguarle a quelle in vigore nel resto del mondo.
Non possiamo continuare a privare il genio italico della possibilità di farsi conoscere ed apprezzare nel mondo o, peggio, costringerlo ad emigrare, come hanno fatto – ma per ben più serie ragioni – i nostri antenati, pur di emergere e dimostrare il proprio valore.
L’innovazione si fa anche – e forse soprattutto – dotandosi di regole moderne ed efficaci, capaci di restituire al Paese la possibilità di competere con e nel resto del mondo.