Autobiografie come flusso di coscienza e confessioni vestite a festa, tra ricordi (e amarcord) serviti con una dose di glitter e velata malinconia. Il primo, nuovo libro di Giorgio Armani non è nulla di tutto questo: basta uno sguardo all’ironia dello stesso titolo, I cretini non sono mai eleganti, per comprendere come il volume, edito in occasione degli ottant’anni dello stilista, ne celebri la figura attraverso la spontaneità delle sue stesse parole. Raccolte da Paolo Pollo, giornalista del Corriere della Sera ed esperta conoscitrice del mondo Armani, sono infatti parole pubbliche tratte da oltre trent’anni di interviste a costruire non solo un personaggio, ma la sua personalità. Mai eccessivo, nella moda come nelle frasi: “Eliminate il superfluo, enfatizzate la comodità e riconoscete l’eleganza del poco complicato”.
Ripercorrere la carriera di un nome iconico del made in Italy potrebbe del resto non essere facile. La strada scelta è quella di un percorso tematico, dove frasi taglienti come aforisma e più strutturati discorsi tracciano il pensiero di Re Giorgio: soprannome usato anche dalla nobile penna di Adriana Mulassano, autrice di una prefazione dedicata a un amico, prima che a una celebrità. Un uomo che, nella sua vita, ha collezionato più case e gatti che opere d’arte (ma che ordinò una riproduzione dell’Arlecchino di Picasso con una sua giacca indosso al posto di quella a losanghe), per il quale la moda è soprattutto un semplice “fare vestiti“. “Trovo imbarazzante parlare di arte quando mi riferisco al mio lavoro, che è di fatto un’operazione molto democratica. Per questo non possiedo quadri esclusivi: non capisco chi colleziona e si vanta di possedere opere che gli altri non possono vedere”.
Certo, tanti sono stati gli step che hanno portato King George all’odierno potere. Qualche data? Dalle origini piacentine ai ben noti esordi milanesi nel reparto pubblicità della Rinascente nel 1957. Passando per la prima collezione creata per il marchio Hitman di Nino Cerruti (cui sarà per sempre riconoscente) fino a quella prima, personale linea donna del 1976, rivoluzionaria nei suoi tailleur e giacche maschili, creata già al tempo con grande razionalità: «Il mio lavoro è del tipo Ibm, tutto programmato. Le aziende che lavorano per me hanno precise scadenze che devo rispettare».
Nel 1980, è il cinema a consacrarlo definitivamente con il Richard Gere di American Gigolò, icona sexy con i suoi completi morbidi e destrutturati… a misura di uomo: “Bisogna accorgersi che sotto all’abito c’è un corpo che pulsa, che sotto questi vestiti c’è un uomo che non è più a disagio se ha scoperto una piega, un’imperfezione. I miei capi non richiedono prove e misurazioni. Si infilano e basta”. A confermare questa notorietà ci pensò il Time nel 1982 con una copertina che, come unico predecessore, ebbe unicamente Christian Dior: “Il mio Nobel come uomo pubblico è stata la copertina di Time, quello come Giorgio Armani persona l’Ambrogino d’oro”. Tante, troppe sembrano le soddisfazioni conquistate da un solo uomo, nell’arco di una sola vita. La più grande retrospettiva mai vista dedicatagli nel 2000 dal Guggheneim Museum di New York, il debutto nella haute couture, l’Armani Teatro milanese costruito dall’architetto Tadao Ando e il primo Hotel Armani a Dubai inaugurato nel 2010, seguito nel 2011 da quello milanese.
Senza mai tradire le sue parole d’ordine: “Evitare tutto quello che è evidente, il lusso sfrenato, per scoprire un lusso più segreto, più riservato, meno diffuso”. Ma anche i suoi dettami di stile, come preferire colori sobri ai violenti e ispirarsi a una donna ideale, unione delle più amate: l’ossatura di Greta Garbo, la grinta elegante di Charlotte Rampling, la compostezza di Jackie Onassis, la modernità di Diane Keaton, l’eleganza spontanea di Katharine Hepburn. Simboli di bellezza, ma anche di indubbio carattere. Perché del resto: “I cretini non sono mai eleganti. Gli intelligenti invece, anche con due stracci addosso sono vestiti logicamente, quindi sono sempre eleganti“.