Dopo il processo di digitalizzazione la Rai ha bisogno di un restyling editoriale completo sia nei tg che nelle reti: è necessario che si torni a parlare di innovazione del prodotto, attraverso il ridimensionamento dell’acquisto di format. Undici testate con altrettante direzioni e redazioni non hanno più ragione d’esistere, non solo per limitare gli sprechi delle troppe troupe utilizzate a coprire gli eventi e in concorrenza l’una con l’altra, sono passati 35 anni dalla nascita di Tg3 e TgR, nel frattempo è cambiato il mondo dei media: un’edizione in più o una nuova sigla non può eliminare la sensazione di antico al confronto con le altre tv europee dei nostri tg. È l’era della crossmedialità, del rapporto tra televisione e Internet, sono nate tv e reti all news, non si tratta solo di tagliare risorse, ma di ridistribuirle, perché no, anche aumentarle dove occorre.
Le linee generali sulla riforma dell’informazione, approvate la settimana scorsa dal cda, forse hanno ancora bisogno di essere ottimizzate ma rappresentano l’inizio di un percorso a cui si deve dare credito, e che farà uscire la Rai da un immobilismo causato dal controllo politico, dal conflitto d’interessi e da una legge, la Gasparri, più volte condannata in Europa dalla Commissione sulla concorrenza. Giacomelli ha intenzione di coinvolgere i cittadini sul cambiamento, Tarantola e Gubitosi coinvolgano i lavoratori, che nel frattempo si sono costituiti in associazioni che producono un lavoro straordinario, ignorato dai media: si confrontano con gli utenti, con giuristi, con esperti del settore, attraverso incontri e social network, con l’obiettivo di portare la Rai a essere nuovamente centrale nel sistema.
La sensazione, dopo la vicenda dei 150 milioni di euro, è che Renzi abbia svenduto la Rai a Berlusconi in cambio dell’appoggio sulle riforme. Coinvolgere i lavoratori potrebbe essere l’inizio della tanto annunciata trasparenza.
Il Fatto Quotidiano, 30 Luglio 2014