Il progetto, proposto dalle aziende Essar e Hindaco, raderebbe al suolo la foresta di Mahan, da cui dipendono migliaia di persone.
Questi arresti seguono quelli di altri tre attivisti di Greenpeace e del movimento contro il carbone MSS avvenuti lo scorso maggio.
Solo una settimana fa, il procuratore distrettuale M. Selvedran aveva assicurato che avrebbe convocato in un’assemblea (Gram Sabha) aperta e trasparente gli abitanti dei cinque villaggi che si oppongono alla distruzione della foresta. Già a marzo il progetto era stato discusso in una simile assemblea, e la mozione si era conclusa con un via libera al progetto, raggiunto però con molte firme che sono poi risultate contraffatte e di persone morte da tempo.
“Questi arresti mostrano che non c’è nessuna volontà di avere una discussione aperta e trasparente al Gram Sabha” sostiene Pryia Pillai, responsabile di Greenpeace India. “Avevamo messo in piedi le attrezzature radio per aiutare le comunità locali a diffondere le informazioni al milione di abitanti interessati al destino della foresta. Prima la polizia ha sequestrato l’attrezzatura e ora arrestano i nostri compagni apparentemente per aver denunciato il sequestro della radio”.
La campagna di Greenpeace India contro il carbone – e il conflitto tra questo sviluppo della peggiore energia fossile e la scarsità di acqua – ha contribuito al dibattito su che tipo di sviluppo si può avere nel continente indiano. La pressione autoritaria contro Greenpeace in India ha in realtà dato maggiore visibilità a questo dibattito e a un maggiore sostegno dei cittadini indiani alle campagne contro il carbone. Ma questa ormai è diventata anche una battaglia per la democrazia, per il diritto di protestare e di informare in quella che si vanta di essere la più grande democrazia del mondo.
di Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo Greenpeace Italia