Con le loro tute protettive sembrano astronauti pronti per una nuova missione. Abbiamo imparato a conoscerli attraverso serie tv o film. Sono i tanti eroi silenziosi che lavorano a stretto contatto con i più pericolosi agenti patogeni del Pianeta, come il virus Ebola, alla ricerca di un vaccino o per dare soccorso ai malati. Medici, infermieri, ricercatori, spesso volontari, abituati ogni giorno a rischiare la vita. Come i due cittadini americani che operano in Liberia con l’organizzazione umanitaria Samaritan’s Purse, la volontaria Nancy Writebol e il medico missionario Kent Brantly, contagiati da Ebola in Liberia, le cui condizioni sono molto gravi. O come il medico a capo del centro clinico di Kenema, nella Sierra Leone, Sheik Umar Khan, morto di febbre emorragica martedì, dopo una settimana di agonia. Infettati dallo stesso virus letale che, secondo l’ultimo bollettino dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), datato 27 luglio, ha già contagiato 1201 persone, uccidendone 672, nei tre Paesi dell’Africa occidentale, Liberia, Sierra Leone e Nuova Guinea dove, secondo Medici senza frontiere (Msf), l’epidemia è ormai fuori controllo. E che minaccia adesso di colpire altri Paesi. Tutto questo mentre la ricerca di un vaccino è ferma per mancanza di fondi. 

Caso di contagio esportato con viaggio aereo, Lorenzin: “In Italia nessun pericolo”. Nei giorni scorsi è stato segnalato il primo caso di contagio esportato con un viaggio aereo. Si tratta di un cittadino americano di origini liberiane, Patrick Sawyer, arrivato a Lagos, capitale della Nigeria, in volo dalla Liberia. L’ospedale in cui era ricoverato è stato messo in quarantena. Un caso che ha destato preoccupazione per la possibilità di diffusione globale del contagio. Il ministro della Salute Beatrice Lorenzin nelle scorse ore ha assicurato che “In Italia il pericolo non c’è. Il livello di allerta è già alto fin dal principio dell’epidemia. Negli aeroporti e nei luoghi di transito sono già effettuate visite mediche nei casi ritenuti necessari”.  

Per l’Oms “remota l’eventualità che il virus esca dall’Africa”. Al momento, l’Oms non ha imposto restrizioni ai voli: gli esperti considerano remota l’eventualità che il virus fuoriesca dall’Africa. “Sebbene Ebola sia molto aggressivo, è in teoria facile da contenere – ha dichiarato in queste ore alla Cnn Peter Piot, lo scienziato che ha scoperto il virus nel 1976 e che dirige la London school of hygiene and tropical medicine -. Per infettarsi occorre un contatto molto stretto con un individuo contagiato, un contatto diretto con i suoi fluidi corporei. Il solo trovarsi in un bus o aereo con qualcuno colpito da Ebola – spiega lo studioso – non è di per sé un problema”. 

Nature: “Rischio basso di infezione tra persone che condividono trasporti pubblici”. Sulla stessa lunghezza d’onda la rivista Nature che, in un articolo di commento a firma di uno dei suoi senior reporter, Declan Butler, sottolinea che “Malgrado l’epidemia di Ebola che ha colpito l’Africa occidentale sia la più grande di sempre, non rappresenta una minaccia globale. Lo European centre for disease prevention and control (Ecdc) – sottolinea la rivista britannica – classifica le persone che condividono trasporti pubblici con individui infettati a rischio molto basso di contrarre il virus”.  

Ma in Gran Bretagna è allarme e gli Usa hanno innalzato il livello di allerta. Ma, intanto, alcuni Paesi hanno deciso di prendere sul serio la minaccia. In Gran Bretagna, l’esecutivo di David Cameron ha programmato un “Cobra meeting”, riunione interministeriale convocata in caso di questioni considerate urgenti, proprio sulla minaccia dell’epidemia. Negli Usa, il presidente Barack Obama si tiene “Costantemente informato” e i Centers for disease control and prevention (Cdc), i laboratori americani attrezzati contro gli agenti patogeni più pericolosi, hanno alzato il livello di allerta a 2, su una scala di rischio di 5. Uno stadio di allarme in base al quale i medici devono identificare i pazienti che potrebbero aver viaggiato recentemente nella zona colpita, studiare i sintomi della malattia e i trattamenti immediati da fornire. “La probabilità che il virus si propaghi al di fuori dell’Africa occidentale è molto bassa – ha spiegato Stephan Monroe dei Cdc -, ma comunque dobbiamo essere preparati anche a questa remota possibilità”.  

L’Oms ha emanato un appello ai Paesi coinvolti, affinché i pazienti siano subito segnalati alle autorità competenti. In molti villaggi, infatti, i malati sono spesso nascosti. Alcuni medici, secondo quanto riferisce il New York Times, sono stati addirittura minacciati e accusati di diffondere l’epidemia. “Bisogna smettere di dire che non ci sono trattamenti per il virus – afferma un comunicato dell’Oms -. Prima i pazienti sono portati in un centro specializzato, maggiori sono le loro chance di sopravvivere e non contaminare i propri cari”.  

Nature: “La sperimentazione è bloccata per mancanza fondi o domanda internazionale”. Ma proprio sul fronte del contrasto al virus a che punto è la ricerca di un vaccino? “Sebbene esistano promettenti studi su farmaci e vaccini contro Ebola – si legge su Nature -, la sperimentazione è bloccata per mancanza di fondi o di domanda internazionale”. Heinz Feldmann, virologo presso lo US National institute of allergy and infectious disease (Niaid) di Hamilton, nel Montana, che nel 2005 ha pubblicato su PLoS Med uno studio sperimentale su un vaccino che si è rivelato efficace contro Ebola nei macachi, ha dichiarato su Nature che “Ebola non è considerato un problema di salute pubblica globale”. “Nel mio laboratorio – aggiunge Thomas Geisbert, microbiologo presso la University of Texas medical branch di Galveston, che ha collaborato alla ricerca – tutti si offrirebbero volontari per sperimentare il vaccino”.  

Un altro vaccino, messo a punto dal Niaid Vaccine research center di Bethesda, nel Maryland, dovrebbe essere testato su individui sani, a partire da settembre. I ricercatori stanno chiedendo in queste ore alla Food and drug administration (Fda), l’ente americano di controllo sui farmaci, di accelerare le procedure a causa dell’epidemia africana. “Siamo stati sfortunati nella tempistica di diffusione della malattia – conclude Armand Sprecher, uno dei medici di Msf che con la sua tuta da astronauta lotta contro Ebola -. Se fosse scoppiata tra uno o due anni, forse ci saremmo trovati in una condizione migliore”.

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