Gli anni di massima rilevanza della testata coincidono con il primo trentennio repubblicano quando L’Unità è più di un giornale: è un segno distintivo di appartenenza, circola anche con la diffusione militante nelle strade e porta a porta, stimola il suo finanziamento con le feste de L’Unità che al tempo sono feste della comunità rossa, dei suoi militanti, dei suoi simpatizzanti e, con il tempo, di una fascia più ampia di cittadinanza.
L’Unità era parte di un indotto più ampio, era una parte del tutto.
Negli anni Sessanta L’Unità si colloca stabilmente come il terzo quotidiano più venduto in Italia (con circa 280.000 copie) dopo Corriere della Sera e La Stampa, ma rispetto a queste due testate, L’Unità può dirsi l’unico giornale a più omogenea diffusione nazionale, aspetto che permane fintanto che non decollerà La Repubblica di Eugenio Scalfari.
Fino alla fine del Pci, L’Unità divide le sue pagine tra informazione generale e vita interna di partito, dalla direzione alla sezione di paese.
Cessato il Partito comunista, nel febbraio 1991, ci si avvia a una profonda trasformazione con nuovi soggetti politici e l’affermarsi di un nuovo modo di fare politica, con la televisione che si sostituisce alle piazze. Dal 1992 al 1996 – in coincidenza con la direzione di Walter Veltroni – L’Unità cerca di rimanere al passo. Pur con un fisiologico declino di vendite, la testata, ora del Partito democratico della sinistra (Pds), si lancia in una complessa operazione di ponte attiva in due direzioni:
Creare una nuova cultura della sinistra, con un giornale aperto a contributi diversi, in linea con la costruzione della più ampia alleanza dell’Ulivo. Questa ridefinizione passa proprio attraverso le pagine della cultura – l’inserto Unità 2 – con ampie analisi sociali, contributi di giovani scrittori emergenti e apparizione di interventi di personaggi pubblici, non legati alla politica, basti ricordare la rubrica domenicale (poi al lunedì) di Paolo Villaggio in prima pagina.
Apertura verso nuovi strumenti di diffusione del giornale: L’Unità è la prima testata a uscire in abbinamento con film di qualità in Vhs e a proporre, sul sentiero della cultura popolare, la raccolta delle annate degli album di calciatori della Panini.
A metà degli anni Novanta il giornale si ferma, paradossalmente in coincidenza con l’avvio del primo governo Prodi di centro sinistra.
Un limite de L’Unità – complice l’aggancio con il partito – è stato quello di acquietarsi con i governi di sinistra al potere, svolgendo solo parzialmente il necessario ruolo di critica nei confronti di chi comanda.
Un’altra fase importante, il giornale l’ha vissuta nei primi anni Zero con le direzioni di Furio Colombo e Antonio Padellaro, alfieri di un giornalismo civile, quello che negli Stati Uniti si chiama adversarial journalism, un giornalismo civico di contropotere che non fa sconti a nessuno. Sette anni con una linea netta che, nel tempo, scontenta una parte dei Democratici di sinistra, ancora influenti sull’orientamento del giornale.
Il contemporaneo, inesorabile, declino delle vendite che passano dalle 72.9014 del 2001 alle 48.536 del 2008 contribuisce ad avviare un nuovo cambio, interessante, e per certi aspetti, radicale, nei suoi presupposti. Nell’agosto 2008 la direzione è affidata a Concita De Gregorio che immette la sua sensibilità per raccontare il “paese reale”, le periferie, gli emarginati, gli immigrati, i precari. Accanto alla De Gregorio, un ruolo di rilievo nella condirezione è affidato a Giovanni Maria Bellu, uno dei migliori giornalisti d’inchiesta italiani. Il restyling del giornale, in formato tabloid, suggella simbolicamente il rinnovamento che, nel primo anno, porta a un rilancio delle vendite (da 48.536 a 53.221), ma è solo un fuoco di paglia e già nel 2010 le vendite crollano a 44.450, sotto il livello dell’ultima direzione Padellaro.
In questi ultimi mesi “L’Unità” ha visto ulteriormente eroso il suo spazio. I dati dell’Accertamento diffusione stampa di marzo sono impietosi, relegando la testata ad appena 20.086 copie, L’Unione sarda ne vende oltre il doppio. Eppure al giornale non sono mancati lauti finanziamenti pubblici. Dal sito ‘Governo italiano’ risulta un contributo del 2012 pari a 3.615.000 euro. Una grave sconfitta gestionale, segnata anche dall’incapacità di sfruttare la vendita digitale, visto il modesto dato di 1.654 copie del marzo 2014 peraltro in calo rispetto al 2013, su un formato dove quasi tutti i giornali – fa eccezione Il Manifesto – risultano invece in crescita.
La mancata sinergia web-digitale-cartaceo e la flebile linea editoriale delle ultime due direzioni – un controsenso per questa testata – sono due fra le diverse cause del fallimento.
Con l’auspicio che L’Unità torni presto a vivere salvando i posti di lavoro, il giornale del futuro dovrà essere definitivamente sganciato dal Pd, avere una proprietà coerente con la sua linea, vivere con le risorse delle vendite, realizzare una sinergia con l’inserto Left che permetta una vera settimanalizzazione del quotidiano andando a riprendere alcuni aspetti che più hanno funzionato negli ultimi anni: laboratorio di riflessione politica, giornalismo d’inchiesta, attenzione per le emergenze sociali, un ricco repertorio di inchieste video sul web in interazione con il cartaceo.
La democrazia di un Paese è garantita dal livello di indipendenza del suo sistema di informazione, in questi termini nessun giornale sarà mai di troppo.