Decisivo il ruolo di una collaboratrice di giustizia segregata in casa dalla famiglia. Tra le accuse, traffico internazionale di stupefacenti e sequestro di persona. Arresti effettuati tra Calabria, Olanda e Germania
Arresti per traffico internazionale di droga grazie alle dichiarazioni di una pentita ridotta in schiavitù dalla famiglia Cacciola. Per rintracciare i presunti membri del clan ‘ndranghetista, sono stati determinanti le rivelazioni di Giuseppina Multari, collaboratrice di giustizia da quando, nel 2005, il marito si era suicidato. I parenti dell’uomo, Antonio Cacciola, attribuirono quindi la colpa del tragico gesto alla moglie, tenendola segregata per questo motivo in casa e riducendola in schiavitù, fino a quando la donna riuscì a fare recapitare una lettera al padre per informarlo della sua condizione.
È proprio dalle dichiarazioni di questa pentita che ha preso il via l’operazione dei carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria, che ha portato all’arresto di 16 presunti affiliati al gruppo Cacciola di Rosarno. Arresti effettuati tra Calabria, Olanda e Germania. Le accuse nei confronti degli indagati sono traffico internazionale di stupefacenti, sequestro di persona e riduzione in schiavitù. I fatti, accertati sin dal 2006, hanno documentato, lo stabile inserimento di molti dei soggetti arrestati nel traffico delle sostanze stupefacenti, con diversi sequestri di svariati chili di cocaina importati dall’Olanda. Chiarite anche alcune dinamiche relazionali interne alla famiglia Cacciola, dove è stata fatta luce su di una serie di comportamenti di riduzione in schiavitù da parte della stessa famiglia. Il gruppo Cacciola è collegato alla cosca-madre dei Pesce, che ha registrato nella sua storia altre due donne pentite, Giuseppina Pesce, che vive oggi in una località protetta, e Maria Concetta Cacciola, suicidatasi con l’acido muriatico.