Le parole hanno significati, significati importanti perché chiavi per comprendere il mondo. Nella costruzione di una lingua è rappresentata la visione comune che una società ha del proprio universo conosciuto, mattone per mattone, parole nascono e muoiono segnando i momenti della nostra storia. E la storia sta bussando alle porte dell’Italia, perché una riforma costituzionale di questo livello non è mai riuscita, nonostante i numerosi tentativi. Come sempre il paese si è spaccato tra opinioni diverse, com’è giusto, anche se la stragrande maggioranza è d’accordo sulla necessità della riforma, dividendosi poi sul come. Ogni parte costruisce quindi un proprio sistema semantico per descrivere quello che sta succedendo, a seconda dell’opinione che cerca di imporre.

Così, tra i più acerrimi oppositori è nato il filone del “colpo di stato”, della “svolta autoritaria”. In realtà non è proprio una novità assoluta, da quando Grillo ha fondato il Movimento 5 Stelle i colpi di stato non si contano più. E una delle conseguenze è proprio questa, che credibilità può avere chi grida al golpe ogni quarto d’ora? Che senso ha chiamare colpo di stato un processo parlamentare che segue il dettame della Costituzione che si vorrebbe difendere? Abbiamo forse già superato la fase in cui questa locuzione evoca un fenomeno che è sempre possibile, l’utilizzo e il riutilizzo a sproposito di questa ne ha svuotato il significato. E’, nei fatti, la storia di Pierino che grida “Al lupo, al lupo”.

Forse consci di questo, sono passati, in questi giorni, ad una locuzione meno netta, ma semplice evoluzione della prima, svolta autoritaria. E’ un’altra frase buona un po’ per tutte le stagioni, perché i confini dell’autoritarismo ognuno li può disegnare dove vuole. In realtà nasconde l’aggressività di chi si sente sempre più con le spalle al muro di fronte alla forza della parte avversa, che immagina ormai solo come un nemico mortale, intento alla distruzione del paese, quasi per un semplice capriccio.

Cela, soprattutto, ma sempre meno, la non voglia, o la semplice incapacità, di essere parte in causa, di costruire e non solo distruggere. Non è possibile avere un confronto se la controparte ti disegna come un mostro divorato dalla fame di potere. E’ necessario ritornare a chiamare le cose con il proprio nome. Questa è una riforma della Costituzione che riequilibra i poteri tra le Camere e il governo. Se invece di ululare frasi senza senso, al solo fine di serrare le fila di un gruppo sempre coeso, alzassero lo sguardo all’Europa, vedrebbero che la situazione che creerebbe la riforma proposta, non ci allontanerebbe minimamente dalle altre democrazie. In Germania, Inghilterra e Spagna, il governo si regge su una sola Camera, in Francia addirittura il capo dell’Esecutivo è, nei fatti, il Presidente della Repubblica che non necessita della fiducia, né, quindi, può essere sfiduciato. Eppure sono quei paesi a cui ci paragoniamo sospirando, quando ci diciamo “Queste cose in Germania/Francia/Inghilterra non succedono”.

Proviamo a tornare al significato delle parole, a discutere senza storpiarlo. Poi diciamoci quanto siano distanti le reciproche idee, ma sulla base di posizioni chiare, con nome e cognome. Da una parte l’idea che la democrazia si basi su bilanciamenti rigidi tra istituzioni al vertice della nazione, dall’altra l’idea che la democrazia possa essere piuttosto una mentalità diffusa sul territorio, dove i bilanciamenti siano possibili attraverso un equilibrio tra nazionale, locale ed internazionale. Su questo possiamo impostare il nostro discorso, trovare un buon accordo, o continuare ad andare d’amore e disaccordo. Questa, del resto, è la democrazia.

 

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