Non sono bastate le petizioni online, l’ostilità del governo e di Matteo Renzi, i tentativi di “moral suasion” di Giovanni Malagò e del Coni. Carlo Tavecchio va avanti e, salvo sorprese clamorose, sarà il prossimo presidente della Figc. E non è una buona notizia per il calcio italiano.
Premessa: chi scrive pensa che Carlo Tavecchio non sia il male assoluto, né Demetrio Albertini la panacea di tutti i mali. Anzi. Il confronto fra i due programmi sembrerebbe premiare il numero uno della Lega Dilettanti, benché entrambi siano in molti punti fumosi e troppo vaghi. Resta però quella frase su Optì Pobà che non si potrà cancellare, insieme alle polemiche delle ultime settimane che ci perseguiteranno nei prossimi due anni di mandato. Starà a Tavecchio smentirci, ma l’impressione, purtroppo, è che con lui non ci potrà essere il cambiamento di cui il mondo del pallone ha bisogno.
Scriverlo, chiaro e tondo, non vuole dire schierarsi con Albertini, come hanno fatto altri giornali (in maniera abbastanza discutibile). Solo riflettere su alcuni elementi. Tanti hanno riportato alcune sue condanne penali passate, ma si trattava per lo più di vicende che lo hanno investito in maniera indiretta, e il suo casellario giudiziario oggi è immacolato. Così come non può essere una pregiudiziale il suo passato da sindaco di un paesino del comasco (anche se oggi va di moda l’equazione politica = casta, l’impegno civile resta un fatto positivo, fino a prova contrarie). Sono altre le vicende oscure (ad esempio la storia delle omologazioni obbligatorie dei campi sintetici, di cui si è scritto tanto anni fa). Ma probabilmente a certi livelli (nel calcio, come nella politica e in tanti altri settori) in Italia è quasi impossibile restare immuni da sospetti e tentazioni.
La verità è che Tavecchio fra i dilettanti ha fatto bene, a suo modo ha costruito un piccolo impero. È una persona capace, padre-padrone che non ha paura di prendere decisioni. Ed in fondo al calcio italiano, dopo anni di immobilismo che adesso paghiamo caro, non guasterebbe un piglio di tal genere. La Figc ha bisogno di una guida forte, e fin qui il profilo di Tavecchio calza a pennello. Ma quella del presidente è anche una figura di rappresentanza (con Giancarlo Abete, praticamente, è stata solo quello per anni). In futuro si spera che le cose possano cambiare e che il presidente sia uomo di decisioni, ma l’aspetto formale, d’immagine, resterà ineludibile. C’è da scegliere il volto che rappresenterà il calcio italiano nel mondo. Deve avere autorevolezza (in questo non aveva forse torto Agnelli), saper parlare in pubblico, avere un certo charme. Sembreranno banalità, ma è così.
Ed è per questo, al di là delle implicazioni di quella gaffe, che Tavecchio non può fare il presidente. Può esserlo dei dilettanti, mondo lontano dai riflettori, dove qualche rozzezza può esser ben perdonata in nome della sostanza. Non della Federcalcio. La frase su Opti Poba resterà come un macigno nella mente di tifosi, stampa, addetti ai lavori. Tavecchio non è razzista, solo un uomo di 71 anni, che viene da un’altra generazione in cui anche la cultura di base era diversa. Come certi nonni, a cui si vuole tanto bene, e che magari sono anche di vedute apertissime, ma che ogni tanto si lasciano sfuggire nel discorso parole come “negro” e “ricchione” (dopo la gaffe sugli stranieri e sulle donne, attendiamo a breve quella sugli omosessuali), perché di un’altra epoca. Mentre il calcio italiano ha bisogno di cambiare oggi, nel 2014, con tutto ciò che questo tempo comporta e richiede. Con lui, purtroppo, sarà impossibile.