La saggezza popolare recita che “i nodi vengono al pettine” e neppure la brillante loquela di Renzi può impedire che lo sporco scopato sotto il tappeto ne riemerga prima o poi. Già la battuta d’arresto del Governo ieri al Senato ha messo in evidenza che la sicumera di Renzi non ha troppi fondamenti reali, ma la possibilità che Cottarelli, richiesto di identificare possibili tagli alla spesa pubblica lasci il suo incarico sbattendo la porta (o che il Pd dica di poter fare a meno di lui) rimette sotto i riflettori il vero problema che il nostro paese deve affrontare e al quale i governi, incluso il presente, rifiutano caparbiamente di mettere mano con la saggezza e la determinazione necessarie: la spesa dello Stato fuori controllo e che alimenta giorno per giorno il cancro del debito pubblico che ci sta rapidamente portando a conseguenze letali.
Infatti, mentre Renzi e il suo Governo ci distraggono con la riforma del Senato, importante sì ma di certo secondaria rispetto alla riduzione (razionale, centrata sui meriti, fatta in modo analitico e non sparando nel mucchio di turno) della spesa pubblica, le ragioni e cagioni dello stato miserrimo nel quale versano le nostre finanze pubbliche stanno indisturbate, inclusa la madre di tutte loro e cioè la falsa idea che lo Stato debba e possa vedere e provvedere per tutti, requisendo la maggior parte del valore creato da imprese e cittadini produttivi per re-distribuirlo con metodi peraltro peggio che discutibili.
Questa idea, che la realtà sconfessa quotidianamente, si articola nei fatti e misfatti governativi mostrando tutti i suoi limiti; il principale è la sottrazione continuata di risorse al sistema produttivo per destinarle a posizioni improduttive o parassitarie; tramite la fiscalità sempre in aumento vengono sottratti quotidianamente fondi crescenti alla parte attiva del paese e ciò purtroppo corrisponde al togliere benzina al motore dell’automobile; prima o poi si fermerà. Quando il presidente di Confindustria sollecita la riduzione delle tasse, dice una cosa tanto ovvia quanto cronicamente inascoltata, ma ancora una volta non si odono risposte alle sue sollecitazioni, né, soprattutto, si vedono prospettive di misure che possano condurre lì.
Eppure il drenaggio sistematico è sotto gli occhi di tutti e mentre viene giustificato con un afflato solidaristico, nasconde in realtà alcuni aspetti profondamente iniqui oltre che auto distruttivi: innanzitutto la sottrazione di risorse alle imprese e ai loro lavoratori contribuisce pesantemente alla perdita di posti di lavoro produttivi mentre al contempo garantisce a settori improduttivi e anche parassitari posizioni di rendita inaccettabili e ultimamente anche insostenibili. Quale logica e soprattutto quale principio di equità giustificano l’affossamento delle aziende con conseguente disoccupazione dei dipendenti per “somministrare” retribuzioni ad alcuni dipendenti pubblici che occupano posti palesemente artificiali, ricche prebende a pletore di politici e ai loro “protetti”, contratti assurdamente costosi a fornitori di regioni, province e comuni, pensioni incongruenti con la storia contributiva?
Un dipendente di un’industria è un cittadino di serie B se può essere messo in mobilità e alla fine trovarsi disoccupato mentre un dipendente della pubblica amministrazione ha diritto al mantenimento del proprio impiego a prescindere dalla sua necessità e dalle condizioni delle finanze pubbliche e un falso invalido civile continua a percepire un’ingiusta pensione? Perché lo stesso dipendente deve rassegnarsi a passare da una retribuzione di un lavoro produttivo a (nel migliore dei casi) un sussidio di disoccupazione, mentre le tasse esose che hanno contribuito a metterlo in quelle condizioni sono state utilizzate per i privilegi dei cittadini di cui sopra? E perché il cittadino di serie B deve sottostare alle regole della riforma Fornero incluse le moltitudini di esodati alcuni dei quali hanno trascorso due anni di trepidante attesa di soluzione mentre la “riforma” della pubblica amministrazione della impalpabile Madia consente a dipendenti pubblici in servizio con retribuzione di utilizzare le vecchie regole pensionistiche?
Un secondo aspetto di grossolana iniquità consiste nella distribuzione geografica della distribuzione pubblica dei pani e dei pesci. E’ innegabile che la parte preponderante della assistenza pubblica sia destinata al meridione (con alcune insane eccezioni per le regioni a statuto speciale del Nord, Val d’Aosta e Trentino alto Adige); basta guardare alla distribuzione delle pensioni di invalidità; secondo la statistica, il meridione assorbe il 44 % delle pensioni di invalidità con circa 20 milioni di abitanti, (dipenderà dal clima?) contro il 35% del settentrione (con circa 28 milioni) e il 21% del centro Italia (con circa 12 milioni). Prendendo le distanza da posizioni estremiste e anti-meridionali, che non mi corrispondono, va però anche sottolineato come il garantire uno stipendio pubblico al Sud costringendo un cittadino del Nord a un sussidio di disoccupazione cozza con la logica economica, infatti, date le enormi differenze nel costo della vita, sarebbe equitativamente logico, oltre che utilitaristico per la nazione, l’opposto.
Certo, i nostri sindacati farebbero un’opposizione estrema a un ribilanciamento del genere e mi sfugge la ragione per la quale i dipendenti delle aziende private continuino ad aderire a organizzazioni che contribuiscono con il loro potere di veto a mantenere questo tipo di iniquità sostanziale giustificata con una pelosa equità formale, ma l’opposizione al cambiamento e allo smantellamento delle rendite di posizione va messa in conto, così come la resistenza anche insolente di alcuni consigli regionali che continuano imperterriti a garantirsi privilegi o dei dipendenti di Senato e Camera che non vogliono comprendere come in un’azienda produttiva uno stipendio da 240.000 euro al netto dei contributi previdenziali è mediamente un sogno irraggiungibile.
Non pare che Renzi, così narcisisticamente amante della popolarità personale e del plauso della piazza, abbia alcuna intenzione di trasformarsi in uno statista di spessore, disposto all’impopolarità per portare avanti una trasformazione positiva della nazione che passi alla storia; meglio vivacchiare come i governi del passato, distribuire qualche 80 euro di pane con mosse da imperatore romano che tiene buona la gleba, non inimicarsi troppo gli elettori assuefatti all’assistenza discrezionale e sciacquarsi la bocca con proclami riformistici continuando ad aumentare le tasse e a sparare nel mucchio di lavoratori dipendenti e autonomi e di quei pensionati che hanno avuto il torto di pagare tanti contributi e quindi hanno pensioni alte.
Ma l’economia reale e la storia non fanno sconti e con il vivacchiare del governo procediamo verso il default mentre Renzi verrà ricordato come colui che preferì il consenso alla riforma della società; per dirla con Dante, “riprenderà dattero per figo”; perché, si metta l’animo in pace, i nodi verranno ineluttabilmente al pettine.