Lasciato solo dal Pd che blocca anche i suoi tentativi di mediazione, a differenza della presidente di Montecitorio gestisce l'Aula senza sanzioni e solo con il sorriso nonostante insulti ("Fascista", "Ladro") e attacchi da tutte le parti per il suo "indecisionismo". Ma la tecnica del "sornione" finisce per far esplodere tutte le tensioni. Soprattutto su di lui
Si fa prima a trovare qualcuno che lo difende. In quattro giorni di votazioni sul disegno di legge per le riforme costituzionali il bersaglio del tiro a freccette è diventato il presidente del Senato Piero Grasso. E solo al quarto giorno – dopo che una senatrice è finita all’ospedale dopo una giornata di sola tensione e poco lavoro – lui è apparso finalmente stufato: si presenta in Aula accigliato e con il pugno di ferro al posto del guanto di velluto (che è stato inutile, ha detto). “Non accetto più allusioni e insulti alla conduzione della presidenza, da tutti. Al primo accenno, farò un richiamo all’ordine, cui ne seguiranno altri, dopo di che ci sarà l’espulsione dall’aula”. Pronti-via e il primo che ci rimette è Alberto Airola, Cinque Stelle. Sarebbe più o meno la normalità, in realtà Grasso non è la Boldrini. Lo crivellano di insulti da giorni e lui niente: un sorriso e avanti un altro. Prima la decisione del contingentamento, poi il voto segreto concesso (e il Pd si incavola) e quell’altro negato (e il M5s che si incavola), infine il canguro (e si incavolano tutti, perfino Casson). Da ultimo la stretta sulle regole del dibattito dopo il casino di giovedì sera. I toni crescono giorno dopo giorno, ora dopo ora. Grasso lascia parlare, spalanca le porte allo sfogatoio proprio per evitare polemiche e invece la tecnica del sornione alla lunga ha il solo effetto di caricare l’aria di elettricità. Specie tra Pd, alfaniani e Forza Italia gli rimproverano l’indecisionismo, il fatto che si rimette sempre all’Aula anche sulle procedure e infatti il pasticcio lievita e poi esplode con la necessità di estenuanti giunte per il regolamento e continue conferenze dei capigruppo. Fa parlare in Parlamento, ma nell’epoca di Renzi bisogna tendere all’essenzialità e anche un po’ meno.
Schiavo di Renzi, fascista, gli dicono i leghisti Candiani e Centinaio, il capogruppo. E lui, Grasso, silenzio. “Lei non merita il mio rispetto” grida quasi senza voce Vincenzo Santangelo, ex capogruppo dei Cinque Stelle. Sorriso. “E’ lo zerbino della maggioranza” aggiunge il capogruppo attuale, Vito Petrocelli. “Grazie, è iscritto a parlare…”. Lo accusano di “continui soprusi e violazioni del regolamento”, di essere parziale, di “aver favorito i contraenti del patto del Nazareno”. E quello non alza nemmeno la voce. “Scappa come un ladro” ricominciano quelli della Lega. “Come Vittorio Emanuele III” dice invece il retore Vincenzo D’Anna, eletto con il Pdl in quota Cosentino, componente del gruppo Gal (Grandi autonomie e libertà) e divenuto noto per aver ricevuto una specie di vaffanculo di Berlusconi perché sostenitore del Senato elettivo. (D’altra parte lo stesso D’Anna in questi giorni di maratona costituente si è distinto come campione assoluto di citazioni: in ordine sparso tra gli altri Pirandello, Popper, Locke, san Tommaso D’Aquino, Hobbes, Tommaso Moro. Incorniciate da questa replica a Renzi: “Non difendiamo i nostri augusti deretani ma il diritto degli italiani a a eleggersi i propri rappresentanti”).
“Appena alza un ciglio Zanda gli dà la parola, noi dobbiamo sbracciarci come pazzi” ricominciano a protestare contro Grasso i leghisti come Jonny Crosio e Raffaele Volpi e grillini come Vito Crimi. Eppure proprio Zanda non ha mai dato pace al presidente del Senato: non si fa così, non si fa cosà, ci faccia votare, non apra di nuovo il dibattito, acceleriamo, eccetera. Zanda lo ha anche sbatacchiato, imbelvito, quando ha concesso il voto segreto sui temi etici del senatore Stefano Candiani, una delle macchine sputa-emendamenti della Lega. Finché non è arrivato l’attacco frontale. “Non sempre condivido le sue decisioni e la sua conduzione d’Aula – dice al Messaggero – Se nell’Aula del Senato non verranno ristabilite delle condizioni civili, non violente, non rissose, di lavoro comune, risulterà violentemente menomato il regolare svolgimento”. Le pressioni devono essere state parecchie e anche di “alto livello” per fare bene e fare veloce. Così ieri, straziato da un dibattito che si interrompeva in continuazione per le proteste a suon di cori di leghisti e grillini, in conferenza dei capigruppo gli è scappata perfino la parola “polizia”. Per la precisione “polizia d’udienza” (“Sapete, dopo 43 anni da magistrato…”): intendeva la polizia del Senato, come vengono chiamati gli assistenti d’Aula, cioè i commessi. Quindi si è ripresentato per riaprire la seduta, ha ingranato la retro e si è scusato: “Si può anche sbagliare, spero di essere creduto, non volevo accennare a modi autoritari”.
Il Pd – quasi per ritorsione – lo lascia sempre solo, lascia che gli finisca addosso tutto. Quando il dibattito si blocca per l’ostruzionismo di Sel, M5s e Lega Grasso propone per esempio di partire con le votazioni dall’articolo 3 – per tentare un ultimo confronto sull’elettività del Senato che è all’articolo 2 -, ma il governo dice subito di no. Per il resto qualche dichiarazione di circostanza per confermare il sostegno e poco di più. Maurizio Sacconi, capogruppo di Ncd, gran twittatore dopo che una sua senatrice viene trasportata al pronto soccorso, butta altro sale sulle ferite: “La presidenza del Senato dovrà dimostrare la propria esistenza applicando le necessarie sanzioni”. Poi, certo, dipende da come tira il vento. Gasparri, che è vicepresidente, manda a dire alle agenzie che “c’è il massimo sostegno al presidente, che deve garantire i diritti di tutti” e poi però ritwitta il Sacconi invelenito.
Come se non fosse abbastanza a un certo punto ci si mette anche Felice Casson che si mette a contestare il “canguro”, il taglio degli emendamenti che ha portato tutti sull’orlo della cura psichiatrica: “cangurare”, “incangurabile”, “Tolga quel canguro!”. L’ex giudice veneziano prova a toccare l’orgoglio del presidente: “Anziché i precedenti è meglio leggere le norme, specie per chi ha fatto il magistrato”. Sembra un colpo degno di una reazione. Invece no. Grasso dà la parola a Nitto Palma, un altro ex magistrato. Ancora il sorriso, Palma non lo sopporta più: “E’ inutile che mi guardi con quel sorriso, il sorriso con cui ella si presenta davanti a noi. La conosco da troppo tempo per preoccuparmi”.