La lunga strada per il rimborso dei piccoli investitori incappati nel prodotto finanziario della banca milanese già finito nel mirino di procura e Consob. Anche la Camera di Conciliazione della stessa Commissione fa tappo
Più che una procedura di mediazione sembra un percorso ad ostacoli. Con la Consob che chiede ai risparmiatori supplementi di informazione persino in casi di prodotti truffaldini ben noti alle cronache giudiziarie e alla stessa Commissione, come il Covertendo 2009/2013 della Banca Popolare di Milano. Alla Camera di Conciliazione Consob, nata per “per la salvaguardia della fiducia nel sistema finanziario”, le cose vanno così. Lo sanno bene due coniugi italiani, che dopo aver perso 40mila euro investendo nel convertendo Bpm, si sono visti rigettare dalla Camera l’istanza di mediazione perché non hanno “presentato reclamo all’intermediario” come previsto dall’artcolo 11 del regolamento Consob 18275 del 2012. Una questione sulla quale il presidente della Camera, Maria Mazzarella, chiede anche ai due risparmiatori di fornire “chiarimenti in merito”.
Alla coppia è suonata come l’ennesima presa in giro a distanza di cinque anni dall’investimento in un prodotto finanziario che mai sarebbe dovuto finire nelle loro mani e che venne piazzato dalla banca truccando i profili di rischio dei clienti. Un cavillo burocratico che allontana ancora il momento del risarcimento. Anche a dispetto del fatto che alla Consob dovrebbe essere ben noto quel convertendo finito al centro di un’indagine della Procura di Milano per truffa ai danni dei risparmiatori. Nel 2009 l’autorità allora guidata da Lamberto Cardia lo aveva infatti bollato come illiquido e rischioso, ordinando lo stop alla vendita. Il prodotto, però, era già finito nei portafogli di 15mila piccoli investitori bruciando circa 150 milioni di risparmi. Non solo: poco dopo, per la vendita del convertendo Bpm ai piccoli investitori, Consob aveva comminato anche pesanti sanzioni ai dirigenti della Bpm proprio per quest’operazione.
Fatti noti questi. Come del resto è noto che, nel 2012, le associazioni dei risparmiatori hanno avviato una procedura di conciliazione con la Bpm. Una mediazione alla quale i due coniugi hanno deciso di aderire, come ricorda l’Adusbef in una lettera di denuncia sulle lungaggini burocratiche della Consob inviata a Matteo Renzi, Pier Carlo Padoan, Angelino Alfano e al presidente del consiglio nazionale forense Guido Alpa. La proposta di transazione della Bpm, che prevede la restituzione del 10% del capitale investito (4.000 euro su 40mila), viene però respinta dai due risparmiatori che sono ormai pronti a far causa alla banca. Ma prima ancora di arrivare in Tribunale, il governo di Enrico Letta cambia le carte in tavola decidendo di istituire la mediazione obbligatoria nel circondario del Tribunale territorialmente competente. Per i due risparmiatori, una nuova beffa perchè la procedura di conciliazione già conclusa con la Bpm nel 2012 non è più utilizzabile per la causa.
Tutto da rifare quindi per la coppia che, assistita dall’associazione, a luglio 2014 presenta una nuova istanza di conciliazione finalizzata ad ottenere un verbale di mancato accordo da inserire nel fascicolo per portare in giudizio la banca. La richiesta viene fatta alla Camera della Consob per accelerare i tempi e ottenere da un’autorità nazionale un verbale valido per un qualsiasi tribunale italiano. I due si attendono che la richiesta sia ormai una pura formalità da realizzare con questionario online. E invece dall’autorità presieduta da Vegas arriva una nuova doccia fredda: la lettera di rigetto con la richiesta di chiarimenti che fa slittare la chiusura della procedura di conciliazione e il giudizio in tribunale. Ma soprattutto il momento del risarcimento da parte della banca.