A naso sembra proprio che le traiettorie delle nostre star presunte carismatiche nel cielo della politica italiana vadano rapidamente accorciandosi.
Decenni durò quella di Silvio Berlusconi, anche perché poteva disporre di un arsenale mediatico da guerre stellari. A lungo Antonio di Pietro lucrò dell’immagine di magistrato del popolo vendicatore, fino a quando la puntigliosa Milena Gabanelli non ne svelò le debolezze immobiliaristiche e una “dedizione” alla roba di stampo contadino (tipo mastro don Gesualdo). Nichi Vendola, profeta dell’Altra Sinistra postmoderna, interruppe il proprio volo precipitando nei premoderni sghignazzi telefonici sull’Ilva con un uomo di mano della famiglia Riva (quella che i propri sghignazzi li indirizza ai casi di leucemia indotta dai fumi siderurgici tarantini). Beppe Grillo smarrisce la potenza profetica quando deve misurarsi con questioni un po’ più complesse di una battuta da stadio e selezionare le frequentazioni, specie estere, con criteri un po’ più sofisticati di quelli degli amici al bar.
Comunque, traiettorie durate – quale più, quale meno – un arco temporale di anni.
È pensabile che Matteo Renzi abbia già iniziato la discesa in picchiata nella propria avventura di astro nascente della rottamazione come conquista del potere?
Altrimenti come spiegare il disamore nei suoi confronti manifestato da un tipico esponente della “bella gente” (e per di più boss dell’amata Fiorentina Calcio) – Diego Della Valle – in una recente intervista: “una squadra non all’altezza”… “la riforma del Senato è talmente complicata che mi ci perdo”… “occuparsi della situazione economica, che non può aspettare… Fino al tombale: “non c’è la cultura e non c’è un’idea guida. Si cambia per cambiare”. Se questo è il parere che circola negli unici ambienti (appunto, “la bella gente” che ha tanti soldi; da Briatore a Farinetti, allo straccettaro Cavalli) del cui apprezzamento il frenetico arrampicatore di Rignano sull’Arno è davvero interessato, allora vuol dire che è già bell’e cotto.
In effetti il cinismo arrogante, da pollo cresciuto in batteria negli allevamenti della politica politicante, con cui il premier affronta i problemi sembra più consono a un piromane che non a uno statista. Difatti il risultato è quello della terra bruciata. Mentre chi gli aveva affidato il mandato di governo si attendeva una chiacchiera ininterrotta per intortare all’infinito pubblica opinione e opposizioni.
Per di più, il fiorentino in gita a Bruxelles sta rischiando di fare la stessa fine del barzellettiere brianzolo cui scopertamente si ispira: mostrare la corda di un provincialismo imbarazzante, quanto arrogantemente inconsapevole. Renzi ci casca riproponendo in sede europea le arcaiche logiche medio-orientali del manuale Cencelli come ratio della candidatura Mogherini a “Mr. Pesc”. Berlusconi cominciò prestissimo a diventare “monsieur Burlesquoni” proprio calcando la scena internazionale.
Ricordate quella sera del luglio 1994 nella reggia di Caserta, sede della riunione del G7 (poi funestata da una missiva per l’allora premier giunta da Milano…)? Prima ci fu la gaffe con il presidente francese, un François Mitterand ormai terminale per un cancro alla vescica, invitato a non farsi influenzare dalle stelle campane in accoppiamenti riproduttivi. Seguita dall’autogol Pecos Bill (fumetto anni 50, a circolazione esclusivamente italiana, di un cowboy biondo con frezza scura), paragonato al presidente Clinton; il quale, non comprendendo l’allusione, da bravo americano che prende tutto sul serio (dal politicamente corretto alla propria missione salvifica) attivò perfino la CIA per decifrare l’arcano. Per poi concludere che si trattava solo di una pagliacciata dell’ospite. Da considerare in conseguenza.
Ora Renzi sa rischiando un rapido ridimensionamento, il cui primo timbro di certificazione potrebbe essere quello estero. Infatti la “bella gente” (del resto non tutta di prima scelta) detesta essere accomunata a chi è stato marchiato con l’etichetta del parvenu.