E fu così che, dopo aver celebrato il Poeta, si fece lui stesso poesia: “Da ferito a morte il mio pensiero non va ai morti di questa orribile strage, ma ai feriti”. E feriti lo sono ancora, hanno avuto i colpevoli, già liberi da un pezzo,
Francesca Mambro e
Giuseppe Valerio Fioravanti. La realtà storica, a differenza di quella processuale, ha portato anche i mandanti,
la P2 di Licio Gellie tutto quello che si portava appresso. L’unico riconoscimento che i feriti non hanno avuto è lo Stato che fu, lo è ancora oggi, il primo responsabile della strage alla stazione di Bologna.
Lo Stato colpevole per assenza continuata.
Per questo le parole di Carmelo Bene, dalla torre degli Asinelli, dopo aver accompagnato di voce miracolosa il XXXIII canto dell’Inferno, quello del conte Ugolino, assumono quel valore che ebbe allora e che si trascina ancora oggi: i feriti, i feriti a morte che sono rimasti nell’illusione che il sacrificio sotto a quelle macerie servisse come sacrificio, appunto. Come vergogna.
Ma quello Stato e quello di oggi non lo ha mai fatto. Fa presto Renzi a dire di aver aperto i fascicoli dei sevizi, anche e soprattutto perché non è vero. Ma Renzi forse non giocava neanche ai boy scout quella mattina, alle 10.25, quando 85 persone morirono per mano delle organizzazioni deviate e fascistoidi. Bene ha fatto, forse, a non presentarsi alle celebrazioni: dove lo Stato continua a essere assente e mancante, visto che nessuno è stato risarcito, né sul piano morale né su quello meramente economico. I feriti sono rimasti tali, si portano appresso le cicatrici, la P2 è diventata quasi onor di merito, i feriti a morte, lo Stato attesta alla sua assenza in un telegramma che ogni anno, il 2 agosto, recita le medesime parole.
Forse non ha più senso neanche parlarne, non ha più senso riunirsi in associazioni che sono diventate organiche a quel sistema di potere e hanno smarrito anche la rabbia. Non ha più senso niente. Lo ebbe quel 31 luglio del 1981 quando Carmelo Bene lesse Dante davanti a duecentomila persone. Avevano un senso quelle parole. Oggi ogni telegramma, che sia di Renzi o di Napolitano, non serve più: lo Stato, come fu per il Vajont o per piazza Fontana o per la morte di Marco Biagi, se vogliamo tornare a tempi più recenti, non ha mai ammesso la colpevolezza. L’assenza. E allora che i morti riposino in pace e i feriti ricordino nelle loro cicatrici, loro, e tutti noi. Ogni corona non ha senso alcuno. E’ spesa male.
Ps. La verità dello Stato, fino a notte fonda di quel 2 agosto, è che fu lo scoppio di una caldaia. La caldaia non esisteva già più alle 10.26, non c’era mai stata una caldaia sotto alla stazione di Bologna. Lo sapevano tutti, a Bologna e a Roma. Alle 10.26, appunto