Taranto, nella città dei veleni il Comune taglia gli alberi mangiasmog
“Tutti sappiamo che da quei camini non esce acqua di colonia, ma gas in grado di modificare il Dna e provocare errori genetici come quello di mio figlio“. Mauro Zaratta, papà di Lorenzo ha parole drammatiche e dichiara: “Ora io a Taranto non voglio più tornare”. E’ una città che gli fa paura.
Sembra una cosa assurda, ma la cosa è accaduta veramente. I volontari di PeaceLink si sono immediatamente recati sul posto e hanno fotografato tutto, condividendo sui social network le immagini terribili delle motoseghe.
Da lì a poco il chimico ambientale di Genova Federico Valerio rispondeva su Facebook: “La cuticola cerosa degli aghi di pino è un’ottima trappola per gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) in aria ed assorbiti su particolato. Successivamente ci pensano il sole e i batteri a degradare questi composti tossici sottratti dal pino all’atmosfera”.
I pini sono dunque i nostri alleati per assorbire proprio gli IPA cancerogeni che sono il principale veleno nell’aria che si respira a Taranto. La funzione “mangiasmog” di questi e altri alberi è dimostrata in diversi studi disponibili anche in rete.
Gli IPA sono quegli idrocarburi policiclici aromatici che contengono anche il benzo(a)pirene, una molecola altamente cancerogena che arriva in buona parte dall’ILVA.
E allora perché tagliarli?
Il britannico Committee on the Medical Effects of Air Pollutants sostiene che ridurre del 5% le polveri sottili PM2,5 con specifiche politiche del verde urbano potrebbe salvare la vita a 4 milioni di persone.
Dalle istituzioni giungono rassicurazioni che gli alberi tagliati verranno sostituiti “con altre essenze arboree”, ma saranno ben poca cosa rispetto a pini che avevano dai 20 ai 40 anni di vita e che arrivavano fino al terzo piano del palazzo a cui facevano ombra.
Quei pini non erano malati, non si erano ingobbiti, i loro rami non erano caduti e non avevano provocato danni né ad auto né a persone di passaggio. Il retroscena che nessuna relazione tecnica riferirà mai è che alla base dei tronchi i cani facevano la pipì e la cacca. Anche qui sorge una domanda: ma che colpa avevano i pini se alcuni padroni li usavano come gabinetto dei loro cani?
La motivazione secondo cui i pini, con le loro radici, avrebbero danneggiato irrimediabilmente i marciapiedi non regge assolutamente, eppure sembra essere quella ufficiale. Per capire quanto sia poco plausibile basta vedere il filmato realizzato proprio sul luogo del taglio.
Dalle immagini emerge con evidenza che, anziché curare adeguatamente la manutenzione dei marciapiedi e degli alberi, il Comune ha preferito tagliare i pini mangiasmog. Sugli alberi, che non possono parlare, vengono scaricate ancora una volta le colpe degli uomini.
La verità è che nella città dove la gente muore per inquinamento (lo ha accertato la magistratura) è un delitto tagliare i pini mangia-veleni, magari per risparmiare qualche euro sulla manutenzione dei marciapiedi.
E tutto questo avvienea Taranto, dove ci sono solo 0,2 metri quadri a testa di verde urbano. La media italiana è 30. Per legge dovremmo avere 9 metri quadrati a testa di verde urbano. Lo dice l’articolo 3 comma c) del DM 1444/1968.
Taranto è la città con meno verde in Italia. Una parte del verde pubblico è addirittura recintato e deve essere bonificato per la presenza di diossina.
Nel quartiere Tamburi ai bambini è vietato giocare nel verde. Ciò nonostante tagliano quei pochi alberi che restano.
Sulla base della Convenzione di Aarhus (recepita con legge 108/2001) andavano consultati i cittadini e resi partecipi delle scelte fin dall’inizio della fase progettuale dell’intervento. I cittadini avevano diritto di proporre soluzioni alternative al taglio degli alberi. E ve ne sono!
Infatti anche nel caso in cui le radici degli alberi danneggino il marciapiede, vi sono soluzioni alternative sperimentate in tutte le città civili per orientare le radici verso un percorso non distruttivo, dando uno spazio adeguato all’albero. A Taranto li hanno invece soffocati alla base con una colata di asfalto.
Il prof. Francesco Ferrini, docente presso la Facoltà di Agraria di Milano, da tempo spiega come far convivere gli alberi e i marciapiedi. Il prof. Ferrini è contrario al taglio facile degli alberi per diverse ragioni:“La capacità degli alberi di fissare polveri e gas tossici nonché di liberare ossigeno attraverso la fotosintesi clorofilliana giustifica l’attributo che è stato loro dato di “polmoni di verde”. Oltre a tutto questo gli alberi sono in grado di attutire i rumori delle varie attività urbane apportando un contributo non trascurabile anche alla salute acustica (Batistoni et al., 1995). Non secondarie sono anche le funzioni di habitat per avifauna, miglioramento del microclima, in termini di attenuazione degli eccessi di temperatura, vento e pioggia”.
Ma alcuni vorrebbero scaricare sugli alberi le colpe che sono degli uomini e della cattiva politica. Il Comune dovrebbe curarne la manutenzione del verde ma manda le motoseghe per avere un problema in meno.
Questo avviene nella città che ha le maggiori emissioni di anidrite carbonica (CO2) di tutt’Italia, se si considera sia l’ILVA sia i camini delle sue centrali elettriche: 7,5 milioni di tonnellate annue di CO2.
In questi casi piantumare alberi sarebbe una misura di compensazione, in quanto gli alberi assorbono la CO2.
La miopia è enorme anche sul versante della tutela del valore immobiliare degli appartamenti. Consolidati studi dimostrano infatti che il valore dell’immobile si deprezza dopo il taglio degli alberi. A New York, per ogni dollaro speso per gli alberi i cittadini hanno beneficiato di 5,60 dollari ciascuno. Il valore degli immobili cresce del 3% lì dove ci sono gli alberi.
Il sindaco di Taranto doveva tagliare i veleni dell’industria, non gli alberi della sua città.
Tra l’altro anche gli alberi possono dare lavoro, come dimostra la capitale dell’India (giudicata super-Inquinata dall’OMS) dove hanno cominciato a piantare alberi a tutto spiano. Il piano è quello di assumere fino a 300mila giovani per piantare due miliardi di alberi lungo le strade dell’India. A Taranto avviene esattamente l’opposto.
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