Dietro i due fortini della Cassa ligure che gestivano un portafoglio da un miliardo si nascondeva un mondo di privati che faceva affari al riparo da occhi indiscreti, compresi quelli dell’antiriciclaggio di Bankitalia. Dal politico con 100mila euro in contanti da nascondere, all’imprenditore con “qualche milione” da far rientrare da un paradiso fiscale, passando per “gli evasori incalliti” e l’amico che simula un finto divorzio per intestare 15 milioni alla moglie e sottrarli alla giustizia
Il politico con 100mila euro in contanti da nascondere e l’imprenditore con “qualche milione” da far rientrare da un paradiso fiscale, “gli evasori incalliti” e l’amico che simula un finto divorzio per intestare 15 milioni di euro alla moglie e sottrarli alla giustizia. Fino a poco tempo fa il Centro Fiduciario Carige era un rifugio talmente sicuro che persino Giovanni Berneschi, l’ex padre padrone della banca genovese, lo usava per coprire gigantesche operazioni di riciclaggio con la Svizzera. A custodire i segreti di centinaia di vip, tra cui anche molti evasori fiscali, era un uomo di fiducia di Berneschi, il direttore generale Antonio Cipollina, finito in manette una decina di giorni fa e ai domiciliari da venerdì. Un fedelissimo che davanti ai magistrati ha respinto tutte le accuse, ma che secondo gli inquirenti ha continuato ad amministrare per conto del capo (già caduto in disgrazia) una cassaforte da 600 milioni di euro e ad applicare le policy previste nei casi più delicati: “La trita-documenti è pronta, poi buttiamo via i sacchetti…”, dice in un’intercettazione trascritta nell’ordinanza di arresto. Il suo rapporto con il banchiere era talmente stretto che i colleghi lo chiamavano il Faraone: “Quello – dice un impiegato riferito a Cipollina nelle stesse intercettazioni – sono anni che gli fanno fare i c… che vuole”. E lui, ascoltato mentre si confida con un collaboratore, si presenta così: “Io non mi sento colpevole, sarà che sono troppo permissivo, belin…”.
Due casseforti da un miliardo di euro – Mai fino ad oggi un’inchiesta si era spinta a commissariare la fiduciaria di una banca di queste dimensioni. Una decisione presa dal tribunale di Genova, che ha affidato la società al commercialista Dante Benzi. Per il capoluogo ligure è il secondo terremoto, che segue di pochi mesi quello che ha travolto la Compagnia fiduciaria genovese (Cfg): una realtà sconosciuta ai più che con l’ultimo scudo fiscale aveva fatto rientrare 193 milioni di capitali attraverso San Marino. Nel settembre del 2012, dopo il suicidio del presidente Giovanni Paganini Marana, che lascia dietro di sé un buco di decine di milioni di euro in varie società di investimento, la Procura di Roma apre un’inchiesta. E poco dopo Cfg finisce in liquidazione. Un rischio che corre anche la fiduciaria di Carige, alle prese con la fuga degli investitori, spaventati da questa improvvisa (e temutissima) attenzione per un mondo che di norma rimane nascosto all’opinione pubblica: “Ormai – rivela in un’intercettazione Francesca Amisano, nuora di Berneschi – i buoi che potevano sono tutti scappati”. Per rendersi conto di che ordine di cifre si parla, mentre una città delle dimensioni di Genova sprofondava in una crisi sempre più profonda c’è chi ha messo da parte e di fatto sottratto a investimenti produttivi qualcosa come un miliardo di euro. Tanto “pesava” il portafoglio gestito dai due fortini (Centro Fiduciario e Compagnia fiduciaria) scardinati dalle inchieste giudiziarie. Ma che cosa si nasconde davvero dietro alle fiduciarie? E perché gli organi di vigilanza non si erano mai accorti di nulla?
Servizi speciali per clienti speciali – È proprio dal Centro che parte l’inchiesta su Banca Carige. È l’estate del 2013 e gli ispettori di Bankitalia consegnano il risultato finale di una lunga indagine. Una delle parti più calde della relazione riguarda proprio diverse operazioni sospette coperte dalla fiduciaria e non comunicate all’Uif (l’ufficio di via Nazionale che si occupa di antiriciclaggio). Per la Procura di Genova la società era “un crocevia strategico per operazioni finanziarie opache, tra cui molte riguardanti capitali di origine illecita”. I funzionari di palazzo Koch segnalano ai magistrati le posizioni di alcuni clienti: le sorelle Livia e Susanna De Angelis, ereditiere farmaceutiche romane che in un anno spostano qualcosa come 170 milioni di euro, Fulvio Gismondi, ex pattista del cda Carige, che all’amico Berneschi chiede alcuni servizi particolari, e il costruttore ligure Pietro Pesce, già condannato per corruzione e indagato per bancarotta fraudolenta. Una premessa doverosa: al momento nessuno di loro è ancora formalmente indagato. E con tutta probabilità molti – tra i correntisti ci sono stati nomi noti, come il presidente del Genoa Enrico Preziosi – non hanno nulla da temere dalle indagini.
In una seconda comunicazione emergono altre operazioni, tra cui un rientro di capitali da Nassau disposto dal terminalista Aldo Spinelli e uno scudo fiscale che attira l’attenzione dei media: Giovanni Berneschi ha fatto rientrare dalla Svizzera 13 milioni di euro e li ha “intestati fittiziamente alla nuora Francesca Amisano e alla moglie Umberta Rotondo”. E quando i giornali se ne accorgono, lui tenta di far passare quei soldi per l’eredità del consuocero, ex dirigente della Winchester Italia: tanto “è morto”, dice alle figlie dell’uomo, senza però riuscire davvero a convincerle. Mastica amaro il Magro (soprannome del banchiere), che sta per essere arrestato: “’Ste bestie – dice riferendosi a Bankitalia, ritenuta responsabile della fuga di notizie – Adesso gli faccio causa”. A maggio la Guardia di Finanza arresta i vertici di Carige, per aver orchestrato un maxi riciclaggio con la Svizzera. A metà luglio tocca ai manager del Centro fiduciario, Cipollina e i collaboratori Marcello Senarega e Gian Marco Grosso. La contestazione principale riguarda il finto scudo fiscale di Berneschi, ma dietro si intravede qualcosa di più interessante. Un mondo di privati che gestisce affari al riparo da occhi indiscreti, compresi quelli dell’antiriciclaggio di Bankitalia. Come, per esempio, l’imprenditore delle pulizie Vincenzo Scalise, “reduce” di Tangentopoli, che oltre ad aver depositato nella fiduciaria 700mila euro sequestrati perché per i pm sono stati distratti da una bancarotta chiede al direttore Cipollina se può spendersi per un caro amico “politico”, con “120mila euro in contanti” da depositare. Meglio “dilazionare” una cifra del genere, consiglia Cipollina.
“Garanzie con i soldi dei paradisi fiscali” – Uno dei principali filoni dell’inchiesta su Carige riguarda i cosiddetti “crediti facili”. Perché, si domandano il procuratore aggiunto di Genova Nicola Piacente e il sostituto Silvio Franz, nell’era Berneschi la cassa di risparmio dei liguri prestava così tanti soldi a imprese in evidente difficoltà mentre allo stesso tempo chiudeva i boccaporti di mutui e prestiti alle piccole imprese? Gli esempi più eclatanti riguardano i costruttori Andrea Nucera e Pietro Pesce: entrambi indagati per bancarotta fraudolenta, hanno continuato a ricevere prestiti “anomali” dall’istituto di credito, fino a pochi giorni prima di saltare per aria. Ma nel mirino – ed è ancora Bankitalia ad attivare le Fiamme Gialle – ci sono tanti nomi, anche grossi, molti dei quali rappresentano la crème dell’imprenditoria ligure. Un caso particolarmente interessante è quello dei Cappelluto-Roveraro, sodalizio familiar-industriale che unisce Vincenzo Cappelluto, titolare di un impero attivo nell’edilizia e nelle riparazioni navali, e Franca Roveraro, immobiliarista e, all’epoca dei fatti, membro del consiglio d’amministrazione di Carisa (Cassa di risparmio di Savona, gemella di Carige). Il gruppo soffre la congiuntura economica ma continua a godere di grande fiducia presso Carige.
Per quale motivo? Secondo i militari del nucleo di polizia tributaria guidati dal colonnello Carlo Vita la spiegazione potrebbe portare proprio al Centro Fiduciario: è qui che i coniugi, grazie alla regia di Antonio Cipollina, riportano più di 10 milioni di euro, custoditi in trust a loro nome tra Madeira, Virgin Islands e Monaco. Per gli inquirenti sono una “garanzia” delle imprese Eurocraft (cantieri navali) e A.b.c.d (costruzioni). Lo stratagemma ideato è piuttosto interessante. Una delle società offshore riconducibile ai Cappelluto-Roveraro ordina la costruzione di una barca alla Eurocraft (che è sempre loro e ha sede a Loano, in provincia di Savona) e paga un cospicuo anticipo. Transazione di cui al momento non è stata trovata traccia. La barca non si costruisce più e la ditta italiana “restituisce” l’anticipo. I soldi finiscono all’estero e poi rientrano con lo scudo fiscale, per “garantire” le imprese di famiglia in difficoltà. La Finanza ha più di un sospetto su questa operazione circolare e per questo ha perquisito la villa degli industriali, al momento non indagati.
Il finto divorzio “dettato” da Berneschi – Antonio Cipollina sarà anche stato il “faraone” del Centro. Ma che a comandare fosse Giovanni Berneschi, che per anni alla carica di presidente di Banca Carige ha sommato la vicepresidenza della “sua” fiduciaria, è un fatto che gli stessi funzionari stanno ammettendo agli inquirenti in questi giorni. Il Magro arrivava al punto di “dettare” una “finta lettera di divorzio” al fido Cipollina, per aiutare “l’amico Fulvio Gismondi”, professore universitario esperto di finanza, indagato nell’inchiesta su Fonsai e con alle spalle “una condanna per fatti di corruzione a Roma”: “Io mi faccio anche quattro anni di processi, ma i soldi non me li devono toccare”, dice mentre è intercettato. Il suo problema, sostiene la Procura, è una posizione da 15 milioni di euro che vorrebbe intestare alla moglie per non attirare attenzioni su di sé. “Se devo arrivare a divorziarmi da mia moglie – spiega a Berneschi – Ci divorziamo che cazzo ce ne frega”. Nessun problema, gli risponde il banchiere: “Facciamo uno scambio di lettere. Se io sono tua moglie inizio a scrivere: abbiamo soldi che arrivano allo scudo fiscale, intestati a me, nell’interesse dei figli”. Del resto, l’importanza degli amici, Berneschi la sottolinea anche a Cipollina: “Guarda che questo si porta via tutto. E io non voglio che lo faccia”.
“Il doppio schermo che copriva 100 vip” – Un vecchio rapporto della Banca d’Italia era già arrivato a lambire il Centro Fiduciario. Era il 2009 e allora gli ispettori segnalarono alla Procura uno strano meccanismo: la cassaforte di Carige copriva con una sorta di “doppio schermo” un centinaio di clienti illustri. Come? Questi patrimoni comprano in modo massiccio partecipazioni della Carige Asset Management sgr (società che il gruppo bancario ha ceduto ad Arca sgr all’inizio di quest’anno), ma quest’ultima non segnala l’iniezione di liquidità avvenuta dal Centro Fiduciario. Un’operazione che, sospettavano già allora in via Nazionale, era volta a creare una sorta di supercopertura, non segnalata all’antiriciclaggio. Ecco perché oggi sono tanti i vip a temere gli sviluppi dell’inchiesta di Genova. E molti di loro hanno già svuotato conti che un tempo venivano ritenuti inviolabili.