La lettura corretta degli indicatori nel presente è però fondamentale per la politica economica, non si può contrastare una tendenza negativa, ad esempio la deflazione o l’inflazione, senza questa bussola. Da anni un po’ tutti: politici, banchieri centrali, industriali e lavoratori navigano a vista, riformulando le aspettative ogni mese ed aggiustando il tiro ogni trenta giorni nella speranza di colpire, almeno nel breve periodo, l’obiettivo. L’incertezza è diventata uno degli attributi principali dell’economia.
Il mese di luglio non ha certo inficiato questa realtà.
I presagi di crescita economica che nel primo trimestre del 2014 hanno fatto sperare che la fine della recessione fosse vicina nell’eurozona non si sono mai concretizzati, la ripresa economica è dunque oggi più lontana che a febbraio. Preoccupano, in particolare, il rallentamento dell’economia tedesca e la stagnazione di quella francese, rispettivamente la prima e la seconda economia di Eurolandia. L’indice PMI, il purchasing managers index, basato sui nuovi ordini di produzione, occupazione, consegne e scorte nel settore manifatturiero pubblicato ogni mese dalla Markit, a luglio è sceso anche in queste due nazioni ed è tornato per tutta l’eurozona ai livelli di dicembre del 2013. Anche in Italia l’indice ha registrato il valore più basso dell’anno.
Il rallentamento dell’economia viene attribuito da molti alla crisi in Ucraina ed alle sanzioni che avrebbero ‘scioccato’ i mercati, si tratta dunque di motivi geopolitici e non strettamente economici o finanziari. Ma è anche vero che la politica monetaria espansiva che la Banca centrale europea sta perseguendo non ha prodotto i risultati voluti, e questo a prescindere dalla crisi in Ucraina. Se continua così in autunno ci sarà bisogno di nuove manovre. Aver tagliato il tasso di sconto applicato ai depositi delle banche sotto zero ed annunciato l’offerta di 400 miliardi di euro da dare in prestito a tassi bassissimi per contrastare la deflazione, non sono bastate per far ripartire l’economia europea. Prova ne è il tasso d’inflazione che continua a scendere, segno inconfondibile del prolungamento della recessione. Sempre a luglio quello dell’eurozona è passato a 0,4 per cento su base annuale dallo 0,5 del mese precedente. Invece di avvicinarci ci stiamo allontanando dall’obiettivo ottimale che la Banca centrale europea ha fissato al 2 per cento.
In Europa, come nel resto del mondo, l’inefficacia delle politiche economiche e monetarie e delle manovre economiche perseguite per far ripartire l’economia è legata alla preponderanza dell’economia mondiale rispetto a quella delle singole nazioni. L’esempio di eurolandia è illuminante. Le economie degli stati membri sono altamente integrate ma non sono omogenee, le politiche di austerità imposte dal 2010 fino ad oggi iniziano a ripercuotersi negativamente sull’economia tedesca solo ora mentre nei paesi della periferia l’impatto è stato sentito subito. Questo scarto di tempo, più di tre anni, è stato disastroso per tutta l’eurozona.
Discorso analogo vale per gli effetti futuri delle sanzioni imposte alla Russia. I risultati sono incerti, non sappiamo se chi soffrirà maggiormente sarà Bruxelles o Mosca perché l’economia russa è altamente integrata con quella europea e mondiale, alla quale contribuisce per il 3 per cento. Ma non basta, gli accordi commerciali stipulati con la Cina alla fine della primavera, dopo dieci anni di trattative, potrebbero offrire a Putin la possibilità di schivare, almeno in parte, gli effetti peggiori delle sanzioni. Se così fosse le sanzioni saranno un boomerang per eurolandia.
Nel mondo multipolare in cui viviamo nessuno ormai controlla più l’economia, che si è trasformata in una forza indipendente, spesso canaglia perché premia il più scaltro e meno scrupoloso e sicuramente penalizza chi ancora non ha capito che il mondo è cambiato radicalmente.