Ogni giorno alle 4 di pomeriggio il traffico di Bujumbura si paralizza. Le biciclette e i carretti si fermano, le poche auto in circolazione accostano e fanno passare il lungo corteo di vetri oscurati: Pierre Nkurunziza sta andando a giocare a pallone. Si dirige verso un campetto da allenamento sul lungo lago. Quando vuole fare sul serio, invece, il presidente del Burundi va a Vyerwa, il villaggio che 51 anni fa gli diede i natali, e apre il cancello del suo stadio privato. In uno dei paesi più poveri al mondo in mezzo all’Africa c’è un impianto da 10 mila posti con le tribune coperte e i riflettori che illuminano a giorno. In Burundi solo il 2% della popolazione ha diritto all’energia elettrica.
L’arena è protetta da alte mure e da una coppia di guardie armate. Dentro, un murale raffigura il leader intento a calciare un pallone a suo figlio, che indossa una maglia del Liverpool. Un giornalista locale, Gabriel Rufyiri, ha denunciato il presidente con l’accusa di aver usato soldi pubblici per la costruzione del campo. In passato nella regione alucni suoi colleghi sono spariti per molto meno.
Nkurunziza è il centravanti dell’Halleluya FC, una squadra composta da suoi amici e ex calciatori della nazionale. Giocano amichevoli nei paesi accanto, lo scorso anno ne hanno disputate 28 e il capo di stato ha segnato 39 gol. Il nome del club non è casuale: prima di diventare presidente, nel 2005, Nkurunziza è stato il leader dei ribelli Hutu del Cndd-Fdd durante la sanguinosa guerra civile scoppiata in Burundi negli anni ’90. Si professa cristiano rinato, fa parte di quel gruppo evangelico che sostiene di aver scoperto la vera essenza della fede e di vivere secondo i dettami della Bibbia. La sua passione per lo sport risale a molto tempo fa, come lui stesso ricorda a ogni occasione. Gioca da quando ha 5 anni e all’università ha allenato la squadra dell’ateneo. Uno dei suoi primi impegni da politico è stata la costruzione di un’accademia che insegna a calciare a 300 bambini.
Nel 2011 a Monaco l’organizzazione Peace and Sports lo ha premiato per l’opera di riconciliazione del paese condotta attraverso il pallone. Meriti che gli negano le opposizioni, che nel 2010 hanno boicottato le elezioni vinte da Nkurunziza con il 91% dei consensi. L’anno prossimo si torna a votare e il trucco per ottenere la terza candidatura è già pronto. Secondo gli oppositori ha aperto la strada alla corruzione che oggi dilaga in Burundi. Il presidente, inoltre, avrebbe pesanti responsabilità nei crimini commessi dai membri di Imbonerakure (in kirundi “coloro che vedono lontano”). Si presentano come l’ala giovanile del partito di governo, ma somigliano molto a una formazione paramilitare. Sono accusati di pestaggi e di numerosi omicidi politici.
Il Burundi, sostengono gli avversari politici di Nkurunziza, rischia la deriva del Ruanda negli anni ’90. Nel paese vicino 100 giorni di violenza etnica portarono in dote quasi un milione di morti. Tra i protagonisti del genocidio ci fu Paul Kagame, al potere da quasi 20 anni nonostante l’accusa di crimini di guerra. Le similitudini tra i due controversi leader non sono poche, tra queste anche la grande passione per il calcio. Dal 2002 nell’Africa centrale e orientale si gioca la Kagame Cup, voluta e sovvenzionata dal presidente ruandese, a cui partecipano anche le squadre del Burundi. Il progetto delle federazioni della zona è trasformarla in una Champions League dell’area.
Nkurunziza, intanto, prosegue nelle sue campagne. Dopo aver cercato di debellare la “maledizione” omosessualità, in primavera se l’è presa con il jogging. La corsa è molto popolare da quelle parti, ma per il presidente tra gli atleti si nascondono sovversivi. Per questo ha fatto arrestare alcuni podisti con l’accusa di aver organizzato una manifestazione illegale. Mentre continua a non valutare il ritiro dal calcio giocato, Pierre Nkurunziza prosegue con la sua attività da dirigente. Tutti sanno che è il principale sostenitore e finanziatore dei Le Messager, squadra che milita nelle serie A del Burundi. Nonostante i privilegi concessi, la società è ancora a secco di titoli. Secondo il giornalista sportivo Désiré Hatungimana il motivo è semplice: “L’associazione arbitri è l’ultima realtà rimasta integra nel paese – ha dichiarato una volta – Non smettono di sognare un giorno di portare un fischietto del Burundi al Mondiale e non si lasciano corrompere”.